Proprio mentre Giuseppe Conte parla con il Fatto, il Pd si interroga sul proprio futuro riunendo la Direzione. Un dibattito in cui l’avvocato è il convitato di pietra. Ma Conte non ha voglia di commentare: “Il Pd sta facendo il suo percorso”.
Su Avvenire lei ha proposto una manifestazione per la pace. Come la immagina?
Io auspico una manifestazione senza sigle e senza bandiere, aperta a tutti i cittadini che nutrono forte preoccupazione per il crinale che il conflitto in Ucraina sta prendendo, esponendoci al rischio nucleare. Mentre il tema di un negoziato di pace sembra relegato sullo sfondo.
Questa iniziativa può anche ricomporre il centrosinistra? Sinistra Italiana si è già detta favorevole, e anche alcuni dem.
Vorrei una grande manifestazione a cui possano partecipare anche gli elettori di centrodestra. La pace non ha colori. Dobbiamo concentrarci su ciò che unisce rispetto a quelle che possono essere le varie sensibilità. Serve una svolta condivisa, una forte spinta verso il negoziato, che rappresenta l’unica via di uscita da questa guerra.
La Tavola della Pace le ha chiesto di avanzare una proposta per il negoziato. Ma sia Putin che Zelensky non sembrano affatto propensi a trattative.
Il negoziato non può essere affidato solo alle parti belligeranti, ma deve essere un percorso per vincere le resistenze innanzitutto di Putin. L’importante è che sia abbracciato con piena convinzione: se non si è convinti che questa è la soluzione è difficile persuadere altri. La strategia che stiamo perseguendo ci sta portando a un’escalation militare, e non contempla sforzi convinti e costanti per una trattativa. Detto questo, ritengo necessaria una conferenza internazionale di pace, sotto l’egida dell’Onu, e con il pieno coinvolgimento della Santa Sede.
Lei accennava alla strategia sbagliata: ma senza le armi all’Ucraina, Putin avrebbe dilagato, no?
L’Ucraina ormai ha gli armamenti per combattere, è ben equipaggiata. Dobbiamo puntare su un negoziato di pace. Piuttosto, mi chiedo se e quali cautele siano state prese rispetto a un attacco nucleare, anche in Italia. C’è un piano al riguardo?
La situazione è così drammatica?
Siamo arrivati all’escalation militare. Chi ha costruito la strategia che ci ha portato a questo ci dovrebbe dire quali garanzie offre sul fatto che non si farà ricorso ad armi non convenzionali.
Il reddito di cittadinanza è posto ogni giorno in discussione, tanto che il Fatto ha proposto dei comitati per difenderlo.
Sono d’accordo, è importante coinvolgere i territori e la società civile nella difesa di una misura di protezione sociale. Dietro a questo attacco al reddito c’è anche una forte componente ideologica, tipica di chi non si pone il tema di contrastare le diseguaglianze sociali. Penso anche a Giorgia Meloni, che con strategia comunicativa ben costruita ha pensato di sfondare al Nord attaccando il Reddito, abbandonando la vocazione tradizionale della destra sociale.
Magari è solo scettica sulla misura…
Voleva accreditarsi con certi ceti privilegiati e certi mondi finanziari perché aspirava al governo del Paese. Ma sono certo che pagherà le conseguenze di questa contraddizione appena il governo partirà, laddove a fronte delle notevoli difficoltà economiche e sociali per famiglie e imprese, si ritroverà nell’impossibilità di intervenire efficacemente senza scontentare le istituzioni finanziarie a cui aveva dato ampie rassicurazioni.
Nella disputa tra Meloni e Draghi sui ritardi sul Pnrr chi ha ragione?
Questa vicenda è il segno delle prime contraddizioni di cui le parlavo. Da un lato per aspirare al governo Meloni si è conquistata la benemerenza degli ambienti che contano, dall’altro dovrà confrontarsi con una realtà ben diversa da quella che l’establishment racconta. E l’attuazione del Pnrr può fungere da cartina di tornasole di questo contrasto. La stessa Nadef certifica il ritardo del governo nella messa a terra dei fondi rispetto alle previsioni del Mef di cinque mesi fa. Ora Meloni – che con il suo partito a più riprese non ha appoggiato il Recovery Plan portato in Italia dal mio governo – dovrà rimboccarsi le maniche.
In un appello, 20 intellettuali e politici chiedono al M5S di dimostrare che “il posizionamento nel campo progressista non è solo tattico”.
La nostra è una rotta politica disegnata in modo chiaro e univoco nella nostra Carta dei principi, adottata ormai da oltre un anno. Chi oggi si iscrive al Movimento deve sottoscrivere questo manifesto, forse il più avanzato della politica progressista. Certo, i manifesti vanno attuati, ma la nostra azione politica ha dimostrato una costante tensione nel tradurre in misure concrete temi come il rispetto della dignità della persona e del lavoro, la giustizia sociale, la tutela ambientale e il contrasto delle diseguaglianze.
Tanti nel Pd sospettano che lei progetti un’Opa sul partito e sul centrosinistra.
(Sorride, ndr) Non aspiro a guidare il Pd, ma a rendere sempre più dirompente l’azione politica del M5S così da contribuire a trasformare in senso progressista la società. Il Pd sta facendo il suo percorso. Noi continuiamo a fare le nostre battaglie con chi è pronto a condividerle.
Per il dem Matteo Orfini lei è “un trasformista”. E non è l’unico a dirlo.
È un’accusa che non ha fondamento, se si considera che nella scorsa legislatura abbiamo realizzato l’80 per cento del programma annunciato nel 2018 e che abbiamo fatto approvare a Salvini misure contro la precarietà, la corruzione e la povertà. Piuttosto, di trasformismo accuserei chi ha abbandonato un’agenda presentata agli elettori per abbracciare un’agenda Draghi che non esisteva.
Il congresso dem finirà in primavera. Nel frattempo si voterà in diverse regioni: se non vi alleate, la destra dilagherà.
Affronteremo questo nodo con un’ampia riflessione interna, assieme agli organi deputati, e valuteremo caso per caso i modi e le forme per presentare agli elettori una proposta politica seria e coerente, che sia realmente competitiva e in linea con i nostri principi e i nostri valori.