Centinaia di mani intrecciate in una lunghissima catena umana, almeno 5mila persone che ieri hanno manifestato per la liberazione di Julian Assange attorno alla sede del parlamento britannico, a Westminster, snodandosi lungo il ponte e fino alla sponda opposta del Tamigi e scandendo gli slogan FreeJulianAssange. In tanti hanno risposto all’appello di Stella Morris, la moglie di Julian Assange che continua la sua battaglia di giustizia per portare a casa il fondatore di Wikileaks. Che, malgrado abbia scontato ogni reato, resta rinchiuso ormai dal 2019 nel carcere londinese di massima sicurezza di Belmarsh. Lo scorso 1° luglio il suo team di legali ha fatto appello presso l’Alta Corte di Londra conto la decisione di estradarlo negli Stati Uniti, dove è certa la sua condanna a 175 anni di carcere per 18 capi di imputazione, fra cui cospirazione e violazione della legge sullo spionaggio.
La sua colpa, lo ricordiamo, è aver pubblicato, di concerto e in collaborazione con alcune delle principali testate mondiali, documenti classificati, fra cui le prove di crimini di guerra statunitensi in Iraq e Afghanistan. Fra i sostenitori che hanno risposto all’appello della Morris, molta gente comune, con rappresentanze italiane, francesi, tedesche, australiane, e la rabbia contenuta di chi assiste impotente alla persecuzione di un uomo che ha perso la libertà dal 2012. La Morris ha percorso la catena umana accompagnata dai due figli che indossavano una maglietta gialla con la scritta Free My Dad, liberate mio padre, e ha ricordato come la battaglia legale per l’estradizione vada avanti ormai da tre anni e mezzo.
Fra i manifestanti anche l’ex segretario del Labour Jeremy Corbyn e l’attore Russel Brand, mentre hanno brillato per la loro assenza la politica e la stampa britanniche: fra i media principali, la notizia della catena umana è stata riportata brevemente solo da Reuters. Presente invece l’International Federation of Journalists con la presidente Dominique Pradalié, che in rappresentanza di 600mila iscritti in 146 paesi ha dichiarato: “La persecuzione di Assange minaccia la libertà di parola in tutto il mondo”. Manifestazioni simili si è tenuta a Washington, dove l’Assange Defense Committee ha chiesto al procuratore generale Merrick Garland di far cadere le accuse.