Anziché invocare d’autunno l’unità delle opposizioni dopo averne perseguito a luglio la separazione; anziché promettere “mai più governi d’unità nazionale” dopo averne sorretto con accanimento terapeutico uno morente; anziché predicare rinnovamento e parità di genere dopo aver selezionato parlamentari anziani e maschi; i gruppi dirigenti della sinistra che non c’è farebbero bene a consegnare le chiavi dei loro obsoleti apparati alla base degli iscritti e, visto che nei prossimi anni continueranno a sedere in Parlamento, offrirsi umilmente al servizio degli organizzatori sociali che nei luoghi di lavoro, nel mutuo soccorso solidale e nelle vertenze ambientali, sorreggono l’unica opposizione oggi davvero esistente. L’unica sinistra che, grazie alle sue buone pratiche e al suo pensiero critico, può delineare l’alternativa di un’Italia più giusta.
La settimana scorsa un titolone de Il Giornale ben riassumeva il progetto della destra: “Contro il caro bollette via il reddito ai furbetti”. Al posto della lotta di classe (definizione ormai proibita) la lotta dei penultimi contro gli ultimi. Al posto della giustizia sociale, liquidata come “invidia sociale”, la guerra fra poveri; ovvero la ricerca di colpevoli nei bassifondi di una società che li riduce a “infrastruttura paraschiavistica” (cito Luca Ricolfi) e, se deviano dal destino loro assegnato, li tratta da delinquenti.
Nei quartieri popolari delle nostre città si moltiplicano le avvisaglie di tali conflitti laceranti. Basti pensare al fenomeno delle gang giovanili: l’unico sciopero riuscito dei lavoratori dei mezzi pubblici, martedì scorso a Milano, è stato quello indetto dai sindacati contro le frequenti aggressioni di cui sono oggetto gli autisti. E non è parso vero a Riccardo De Corato, neoeletto deputato di FdI, proclamare che Milano è ormai peggio di Gotham City: pugno di ferro e caccia ai “furbetti”, categoria quest’ultima facilmente estensibile a ogni genere di emarginati, demagogicamente incolpati di confiscare le risorse spettanti ai cittadini perbene.
Vasta è la panoramica di queste tensioni fra penultimi e ultimi, a cominciare dalle bollette bruciate dai commercianti in parallelo con la promessa di abolire il reddito di cittadinanza. Isolate restano invece le proteste dei rider che si battono contro il cottimo (altra parola in disuso). La sinistra ha brillato per la sua assenza a Piacenza, nodo nevralgico della logistica, quando il sindacalismo di base è stato criminalizzato alla stregua di associazione a delinquere. Nessuno ha avuto da obiettare di fronte alla riapertura delle centrali a carbone inquinanti. A Taranto non viene perseguita più la riconversione dell’acciaieria. Una coltre di silenzio occulta le malversazioni nel settore agroalimentare dove gli stagionali italiani vengono spinti contro gli immigrati senza contratto. E, a proposito di contratto da rinnovare, la vertenza Stellantis non suscita l’interesse dovuto ai lavoratori dell’automotive dal futuro incerto negli stabilimenti che la proprietà francese mira a ridimensionare.
Potrei continuare un elenco che coinvolge la scuola e la sanità pubblica, l’edilizia popolare e la manutenzione del territorio. Ma tanto mi basta per ribadire che un’opposizione capace di rappresentare gli interessi degli sfruttati e dei discriminati (altre parole che non si usano più, perché nella nostra società neanche i poveri amano essere definiti tali, semmai “ceti sottoprivilegiati”) solo da qui può emergere. Come? Stringendo legami fra le diverse associazioni che se ne occupano in solitudine. Superando le rivalità fra i sindacati confederali e un sindacalismo di base che altrimenti si rinchiude in logiche corporative e di appartenenza etnica. Rilanciando sul piano culturale un orizzonte di solidarietà collettiva che era stato accantonato per illusori calcoli elettorali.
Le leadership verranno dopo, ci vorrà tempo. Non saranno i capicorrente sopravvissuti del Pd a farsi carico di un tale processo: le loro biografie li destinano a farsi da parte. Non sarà neppure un M5S fluido, sopravvissuto a quattro anni di governo ininterrotto solo perché ha saputo rivolgersi a questi settori della società, ma sprovvisto di identità e di legami territoriali.
Per questo dobbiamo augurarci un rompete le righe generale, il coraggio di incontrarsi fra diversi che vogliano impegnarsi assieme per la dignità del lavoro, il reddito di cittadinanza, la riconversione ambientale, l’uguaglianza nei diritti estesa ai migranti come prevede la nostra Costituzione.
La Corte Costituzionale, presieduta oggi da una valida giuslavorista, avrà il suo bel daffare per contenere le pulsioni discriminatorie della destra al governo, propugnatrice della lotta dei penultimi contro gli ultimi. Ma spetterà a un’opposizione che comincia fuori dal Parlamento, cercandovi poi le sponde necessarie, intraprendere il cammino.