Si chiama La mia voce per Assange ed è una campagna internazionale che punta a salvare il giornalista e fondatore della piattaforma Wikileaks che nel 2010 ha iniziato a pubblicare tra l’altro documenti top secret sui crimini commessi nei conflitti internazionali dagli Usa e da altri Stati occidentali. Dopo le accuse di stupro nei suoi confronti partite dalla Svezia, l’australiano si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Dal 2019 è in carcere in Gran Bretagna e dovrebbe essere estradato negli Usa dove rischia 175 anni di prigione. A lanciare l’appello è stato il premio Nobel per la Pace, Adolfo Pérez Esquivel. Un comitato formato da Grazia Tuzi, Armando Spataro, Laura Morante, Vincenzo Vita, Paolo Benvenuti, Daniele Costantini, Flavia Donati, Giuseppe Gaudino, ha raccolto decine di video a sostegno di Assange, alcuni disponibili su FQ EXTRA.
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Cosa l’ha spinta ad aderire all’appello per salvare Julian Assange?
Intanto premetto – do assicurazioni sul punto – che l’avrei fatto anche se non mi fossi mai occupato di una vicenda come quella [del sequestro da parte della Cia e dell’intelligence italiana] di Abu Omar. Come hanno detto tanti importanti accademici, a partire da Vladimiro Zagrebelsky, bisogna considerare che, in democrazia, il diritto-dovere di informazione non è qualcosa di marginale. Addirittura, il diritto-dovere in questione è anche nel Primo emendamento della Costituzione americana e nell’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Assange ha consentito al mondo di conoscere quello che di tragico è stato commesso in Afghanistan e in Iraq, e il mondo ha il diritto di conoscere queste cose. Non esiste una democrazia in cui ci possa essere un abuso del segreto di stato che procuri l’impunità non soltanto agli autori di un sequestro, come quello di cui mi sono occupato io, ma addirittura agli autori di crimini contro l’umanità. Bisogna mobilitarsi e devo dirle con franchezza che trovo incomprensibile il silenzio che su questa vicenda molti grandi quotidiani e molta parte dell’informazione hanno lasciato calare. E non è la prima volta.
Da uomo che per tutta la vita ha lottato per la giustizia, come guarda alla scelta dei giudici inglesi di estradare un giornalista per aver rivelato crimini di guerra, esattamente come fosse un trafficante di droga o un mafioso, e allo stesso tempo di lasciare impuniti i criminali che hanno commesso atrocità in Iraq, Afghanistan e Guantanamo?
Sull’ultima parte della domanda ci sarebbe da fare un ragionamento giuridico: il reato è stato commesso in Gran Bretagna, bisognerebbe studiare se il sistema britannico consente la punizione di reati commessi all’estero. In altri paesi questo avviene. Però mi pare più importante la prima perché sembra che una parte delle istituzioni inglesi – pur essendo il Regno Unito un luogo dove abbiamo sempre saputo che la democrazia è cresciuta – ignorino l’importanza del dovere all’informazione. Vladimiro Zagrebelsky ha detto che i giornalisti, specie quelli investigativi, vengono chiamati cane da guardia del potere, però in questo caso sembra che si dica loro: sì, siete cani da guardia, però, non abbaiate! Trovo assolutamente criticabile, inaccettabile sotto ogni profilo, che si possa pensare di estradare Assange, ormai detenuto da anni, per l’esercizio del suo dovere d’informazione. Ecco perché ho aderito all’appello del premio Nobel Adolfo Pérez Esquivel e di altri intellettuali che si sono a lui uniti. Lo faccio e ciò mi onora, per convinzioni precise sull’assetto di ogni democrazia.
Il grande regista Ken Loach ha definito questo caso “una mostruosa ingiustizia”. Concorda?
Sì. E più il tempo passa, più la mostruosità aumenta, perché ormai questa persona ha vissuto anni di sofferenza. E francamente non riesco a immaginare come non la si possa definire un’ingiustizia mostruosa.