Cosa si intende per “littering behaviour”? Innanzitutto bisogna ben spiegare la differenza tra rifiuto prodotto (waste) e rifiuto disperso nell’ambiente (litter). Il rifiuto prodotto (waste) è l’oggetto del quale ci dobbiamo disfare, che segue una sua “filiera” ben precisa fino allo smaltimento nelle diverse modalità. Il rifiuto disperso al di fuori della filiera è invece un oggetto che è fuoriuscito erroneamente dalla filiera dei rifiuti o che viene gettato direttamente nell’ambiente (litter).
Con l’aumento dei rifiuti presenti nell’ambiente, soprattutto a causa di materiali non biodegradabili, come i polimeri artificiali (plastica e polistirolo), si è iniziato a strutturare un filone di ricerca scientifica noto come “littering behaviour” (che significa letteralmente “comportamento dei rifiuti”) che cerca di capire i flussi e l’origine dei rifiuti dispersi.
Si studia ad esempio chi produce rifiuti lungo le strade (auto, automobilisti o pedoni), alle fermate degli autobus, di fronte alle scuole. Si cerca di capire la frequenza, il genere, il percorso, il settore e lo scopo che inizialmente ha generato l’oggetto e le motivazioni che portano a gettare il rifiuto. Scopo dei ricercatori, naturalmente, è quello di capire l’origine del rifiuto disperso per ridurne la presenza nell’ambiente.
I rifiuti moderni più frequentemente rinvenuti
I fiumi e le loro sponde sono i primi collettori di rifiuti dispersi, che poi vengono trasportati al mare. Gli oggetti dispersi nei corsi d’acqua sono pertinenti indicatori dei consumi, delle produzioni e dei comportamenti umani relativi a quel territorio, oltre che degli effetti di norme e misure sulla prevenzione dei rifiuti.
Solo a titolo di esempio, agli ormai storici cotton fioc con il loro bastoncino di plastica (ora vietato) si aggiungono ora diversi bastoncini di giochi usa e getta presenti all’interno di pacchi di dolciumi e merendine o altre confezioni per bimbi. Dai cantieri edili, invece, le reti di protezione in plastica rossa finiscono nei fiumi, rischiando di diventare una minaccia per gli animali che vivono lungo le sponde (uccelli, tartarughe). Anche il crescente utilizzo di pannelli isolanti in polistirene si riflette dalla presenza sempre maggiore di frammenti in sfere nei fiumi e, nelle grandi città – dove a seguito di emergenze sociali e abitative si sono formati veri e propri accampamenti – questi ultimi fanno aumentare anche la presenza di rifiuti di tipo tessile (per i quali a livello EU dal 2025 sarà necessario istituire la raccolta differenziata). Le attività ricreative, come i numerosi circoli sportivi lungo i fiumi, possono contribuire ad aumentare la pressione dei rifiuti nei fiumi: numerose sono infatti le palle da tennis/padel ritrovate nei diversi monitoraggi. Sempre a titolo di esempio, anche l’ambito vivaistico e agricolo contribuiscono all’aumento di rifiuti nei corsi d’acqua; se nel tempo sembrano spariti i grossi teli da serra che andavano spesso a incastrarsi tra le fronde degli alberi, aumentano invece i contenitori quali vassoi per sementi e vasi in plastica. Inoltre, durante il picco della pandemia è aumentata la presenza di dispositivi di protezione, come guanti, mascherine e accessori, oltre ai contenitori per uso alimentare usa e getta.
L’impatto ambientale del “litter”
È difficile dire con certezza dove sono maggiormente concentrati i rifiuti, ma sicuramente esiste una forte interconnessione tra i vari ambienti naturali. Il rifiuto disperso sulla terra entra infatti nei fiumi e da questi viene trasportato, soprattutto durante le piene, in mare, ambiente che funge da collettore finale. I rifiuti possono poi nuovamente spiaggiarsi lungo le coste anche in zone limitrofe rispetto alla foce del fiume.
Gli impatti sono ovviamente fortissimi e molteplici, come è facile immaginare: tra i principali effetti c’è un depauperamento del capitale naturale (gli habitat naturali come servizi ecosistemici) con danni al turismo (che spesso è anche causa di incremento di rifiuti) e minacce al biota, ovvero il complesso degli organismi vegetali, animali ecc. che occupano un determinato spazio in un ecosistema (numerosi oramai i casi di “entanglement” cioè di fauna selvatica che rimane intrappolata nei rifiuti dispersi nell’ambiente) oltre ad impatti sulla catena trofica di cui anche noi siamo consumatori.
Gli oggetti che più comunemente finiscono in mare
A livello europeo, però, un recente studio sull’apporto di rifiuti dai fiumi d’Europa al mare, al quale ISPRA ha collaborato, ha evidenziato come bottiglie, contenitori e buste di plastica, pezzi di polistirolo siano tra gli oggetti più comuni trovati nei monitoraggi. L’input maggiore sembra provenire dai paesi ad alto reddito. Circa l’80% dei rifiuti galleggianti nei fiumi è di plastica, tale percentuale aumenta in mare a causa di una maggiore permanenza sulla superficie della plastica rispetto ad altri materiali quali carta, vetro e metallo. I risultati a livello europeo non si discostano molto dai risultati di un anno di monitoraggio congiunto tra ISPRA e il Dipartimento di Scienze di Roma 3 alla foce del fiume Tevere, dove risulta una densità estrapolata alla foce pari a 2.400 rifiuti galleggianti maggiori di 2,5 cm per chilometro quadro. Il trend degli ultimi 6 anni del monitoraggio sul Tevere a Fiumicino, inoltre, evidenzia come il numero di oggetti sia in crescita, se si esclude l’anno legato alla pandemia. Nel 2021, ISPRA, su mandato del ministero della Transizione Ecologica, ha dato il via a uno studio su diversi fiumi italiani per monitorare, nell’ambito della Direttiva Quadro della Strategia Marina, l’apporto dei rifiuti a mare. A breve quindi avremo quindi un quadro un po’ più chiaro della situazione su tutta la penisola.
Come contrastare questo fenomeno? Le azioni, di fatto, sono le stesse per tutti i tipi di litter: seguire la gerarchia dei rifiuti e attuare una sana economia circolare, “sigillare le filiere” dal conferimento allo smaltimento, evitare comportamenti con la dispersione deliberata nell’ambiente. Anche il monitoraggio continuo dei rifiuti dispersi nell’ambiente può dare indicazione per l’adozione di nuove misure normative specifiche per ridurre la presenza di rifiuti.
Roberto Crosti è ricercatore ISPRA responsabile nell’ambito della Strategia marina del monitoraggio dei rifiuti galleggianti nei fiumi.