È innegabile: le generazioni più giovani sono quelle maggiormente sensibili ai temi ambientali. Sono quelle che scendono in piazza a chiedere impegni concreti per limitare l’aumento delle temperature, e sono quelle che non hanno paura di abbandonare le ‘tradizioni’ per far largo a nuove e più sostenibili abitudini alimentari.
Secondo i dati raccolti da Nomisma, il 26% della popolazione italiana sta eliminando o riducendo il consumo di carne, mentre l’88% considera la sostenibilità quando acquista prodotti alimentari e bevande. Questa tendenza è in linea con ciò che da anni invita a fare la comunità scientifica ㅡ non ultimi i ricercatori dell’IPCC che nel loro ultimo report consigliano, tra le altre cose, di implementare la promozione dell’alimentazione vegetale.
Ma mentre i giovani si muovono in questa direzione, poco viene fatto in quei luoghi che dovrebbero essere in prima linea nella costruzione di un futuro più equo per tutte e tutti. Con la nuova campagna “Mense per il clima” di MenoPerPiù, un programma di Essere Animali che supporta le aziende nella promozione di una sana alimentazione a basso impatto ambientale, vogliamo agevolare la transizione verso una mensa che guardi proprio al futuro.
Con questo progetto vogliamo dare voce alle richieste di studentesse e studenti, con l’obiettivo che almeno il 50% dei menu universitari siano vegetali. Chi va all’università in Italia si ritrova un’offerta che è sempre uguale a se stessa: carne tutti i giorni, con quei pochi piatti a base di proteine vegetali che si limitano ad essere ceci sconditi nel banco delle insalate. A volte addirittura non c’è proprio scelta, spiega una studentessa che abbiamo incontrato. C’è un grosso divario tra il cibo servito e le esigenze della popolazione studentesca, sempre più attenta a ridurre il consumo di prodotti animali e che chiede più opzioni, ma anche la promozione di alimenti vegetali, l’istituzione di una giornata in cui l’offerta è solo vegetale e l’introduzione di etichette che indichino quali sono le scelte più ecologiche.
Le mense di alcune rinomate università europee hanno già agito, riducendo o eliminando carne e derivati. Una scelta che è nata anche dalle richieste di studenti e studentesse. A Berlino gli studenti hanno chiesto e ottenuto una riduzione di carne e pesce nelle 34 mense e caffetterie delle quattro università della città: il 96% del menù diventerà a base vegetale. In Regno Unito undici università, tra cui Goldsmiths, Cambridge e University of London, hanno ridotto o eliminato la carne rossa per ragioni ambientali.
Nel nostro Paese le persone iscritte all’università sono 1,8 milioni, distribuite in 86 istituzioni universitarie — escludendo quelle telematiche. Se queste persone potessero trovare facilmente in mensa dei piatti vegetali, buoni ed economici, l’impatto positivo sull’ambiente sarebbe enorme. Abbiamo fatto una prova a settembre all’Università di Firenze dove abbiamo proposto un menu interamente vegetale per 250 persone. Quante emissioni e acqua abbiamo risparmiato, vi chiederete? Confrontando l’impatto ambientale delle nostre ricette con la proposta tradizionale della mensa abbiamo calcolato un risparmio:
- del 33% d’acqua — vale a dire oltre 145.000 litri: il consumo annuale di 200 persone;
- del 75% di emissioni — pari a 439 kg di CO2eq: tre volte quanto il consumo di un’automobile per coprire la tratta Reggio Calabria-Bolzano.
Ogni anno in tutto il mondo macelliamo oltre 80 miliardi di animali (pesci esclusi), che durante la loro vita richiedono una quantità esorbitante di acqua e mangimi — molto spesso adatti al consumo umano. Produrre cibo per 80 miliardi di animali ogni anno ci obbliga a destinare l’83% di tutte le terre agricole globali alla produzione di carne. Numeri impressionanti che ci dovrebbero spingere ad agire al più presto per ridurre questi sprechi.
Si stima che se il mondo diventasse vegan, si avrebbe una diminuzione delle emissioni di quasi 8 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno (l’equivalente delle emissioni annuali di India e Stati Uniti). Una ricerca recente afferma che se i paesi più ricchi (di cui l’Italia fa parte) diminuissero il loro consumo di carne almeno della metà, il settore agricolo diminuirebbe le proprie emissioni del 61%. In aggiunta, servirebbe molta meno terra per coltivare soia e altri mangimi. Tolti i campi da coltivare per il sostentamento umano, rimarrebbe comunque un’area più grande di tutta l’Unione Europea che potrebbe ritornare al suo stato naturale, con piante selvatiche e alberi in grado di catturare almeno 100 miliardi di tonnellate di CO2 dall’atmosfera entro il 2100. Questo rappresenterebbe un bell’aiuto per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
Non abbiamo più scuse: la produzione di carne, latte, uova e pesce è basata su un sistema inefficiente, responsabile di alte emissioni di gas serra, deforestazione, spreco di acqua potabile e terre agricole. Bisogna cambiare.