La guerra è devastante, sempre. È un crimine contro l’umanità le cui drammatiche conseguenze sono morti, feriti e profughi oltre a malattie, epidemie, fame che rendono disumane le condizioni di vita; milioni di persone sono costretti ad abbandonare la propria terra per cercare di salvarsi: sfollati in patria e rifugiati nei campi profughi di paesi vicini, anch’essi soggetti a degrado sociale e ambientale. Oggi nel mondo, oltre le guerre in Ucraina, Afghanistan, Etiopia, Yemen e Myanmar con più di 10.000 vittime l’anno, ci sono circa altri 50 conflitti armati e parecchi sembrano dimenticati.
Quando si parla di guerre si evidenzia giustamente il numero di vittime e poco si citano gli altri impatti: la distruzione urbana e delle infrastrutture, i danni, spesso irreversibili, alla geodiversità e agli ecosistemi. Già il passaggio di mezzi militari distrugge gli habitat naturali di vasti territori che potranno essere ripristinati in tempi lunghi con difficoltà. Lo scoppio degli ordigni bellici rilascia sostanze tossiche che inquinano aria, suolo e acqua e distruggono flora e fauna. La combustione delle ingenti quantità di carburante di carri armati, aerei, navi, sottomarini aumentano fortemente le emissioni di CO2 e altri gas climalteranti e/o tossici: una ricerca ha stimato che un mese di guerra in Ucraina ha sprigionato CO2 pari a quella emessa in un intero anno da una città come Bologna.
Ma gli impatti ambientali della guerra iniziano già nei periodi di pace. La dotazione militare in sé causa un danno ecologico rilevante! L’utilizzo dei mezzi nelle esercitazioni implica che vengano bruciate continuamente grandi moli di combustibili fossili, la produzione di mezzi e armamenti sempre più sofisticati e tecnologicamente avanzati comporta lo sfruttamento e il depauperamento di preziosi minerali, metalli e terre rare, oltre le emissioni climalteranti connesse alla loro costruzione. E poi le armi di distruzione di massa. La guerra in Ucraina ha riportato in primo piano il rischio dell’uso di armi nucleari, più volte menzionato da entrambe le parti schierate. Se ciò accadesse, oltre alle inaccettabili decine di migliaia di morti causate da un ordigno nucleare anche “tattico”, ciò implicherebbe ovviamente anche la insostenibile contaminazione radioattiva di aree molto estese. E molti temono anche i bombardamenti di strutture civili nucleari come le centrali ucraine: se ne venisse colpita e danneggiata qualcuna ci potrebbero essere, come a Fukushima in Giappone, venefiche fuoriuscite radioattive.
Inoltre i danni degli ordigni bellici permangono al termine di una guerra, come bombe e mine inesplose rimaste nel sottosuolo: oltre al pericolo di tardive esplosioni, negli anni permeano il terreno con composti chimici dannosi e i prodotti agricoli dei campi saranno a elevato rischio di intossicazione per persone e animali, non escludendo il pericolo di tumori o patologie rare.
È necessario mettere in evidenza anche l’aspetto economico: le spese militari mondiali nell’ultimo decennio sono aumentate del 9,3%. Nell’anno 2020 si stima abbiano raggiunto una somma complessiva di quasi 2000 miliardi di dollari. Ovviamente risorse sottratte ad altri usi, fra cui la lotta alla crisi climatica. E l’Italia si distingue tra le potenze mondiali che spendono di più, posizionandosi all’11° posto, con spese militari nel 2020 di 28,9 mld di dollari! È quindi evidente come i temi della crisi climatica ed ecologica siano strettamente connessi, con la conseguente necessità, anche per il clima, di fare di tutto per far cessare tutti i conflitti nel mondo. Con riferimento all’Ucraina, ferma restando la sua indiscussa posizione di paese aggredito, davvero crediamo nell’ossimorica affermazione che la pace possa essere raggiunta manu militari, facendo ricorso a sempre più armi sempre più potenti?
L’unica via d’uscita è che la Comunità Internazionale (suggerisca/insista/imponga una soluzione negoziale) che assicuri sicurezza per entrambi le parti: più presto si fa, minori morti e devastazioni (e rischi) si accumuleranno. In questa prospettiva esigiamo che l’Italia, come stato membro della Nato, magari con altri paesi Nato, si faccia promotrice di una linea negoziale al fine di cercare incessantemente una pace giusta, mettendo in discussione la prospettiva che continuare a inviare armi a Kiev sia la strategia (l’unica) da perseguire (già 40 miliardi di dollari a febbraio 2022 – Fonte: NY Times 20/5/22).
Vogliamo che l’Italia agisca affinché nessun paese Nato contrasti in alcun modo qualsiasi forma di negoziato fra le parti, rigettando le posizioni oltranziste che vorrebbero uno sfinimento militare della Russia al fine di rovesciarne il regime (Blinken/Austin a Ramstein Aprile ‘22-Fonte Washington Post 25/4/22). Un tale obiettivo non solo rimanda sine die la cessazione del conflitto, ma comporta evidenti elevatissimi rischi di portare all’esasperazione una potenza con un ampio e pericoloso arsenale nucleare. Sul nucleare, esigiamo che l’Italia (e l’Europa) ratifichi il trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), promosso dall’ONU e entrato in vigore il 22 gennaio 2021.
Per questo Il movimento Parents for Future è pienamente in linea con l’appello lanciato da oltre 400 organizzazioni della società civile con la lettera “Europe for Peace” con la quale si chiede all’ONU di promuovere una Conferenza Internazionale di Pace “per fermare tutte le guerre, per fermare il riarmo, per eliminare dalla faccia della terra le armi nucleari” e di farsi portavoce affinché gli Stati si “impegnino a tagliare del 2% le spese militari, almeno per 5 anni, istituendo un fondo globale da investire in programmi di economia disarmata”. Anche noi Parents for Future saremo in piazza a Roma il 5 novembre per gridare: “Cessate il fuoco subito, negoziato per la Pace!”