Pronti, partenza, via. A Sharm El-Sheik, in Egitto, è iniziata Cop27. Per la ventisettesima volta tutti i governi del Pianeta si siedono attorno a un tavolo per parlare di crisi climatica, sotto l’ombrello delle Nazioni Unite.
È da incontri come questo che sono passati alcuni dei punti di svolta del contrasto al riscaldamento globale – uno su tutti la firma dei famosi Accordi di Parigi, siglati a Cop21. All’edizione precedente, Cop26, tenuta a Glasgow, tante e tanti di noi sono accorsi in Scozia per seguire i lavori, fare pressione sui nostri delegati, protestare.
Ma quest’anno, Fridays For Future Italia non sarà presente.
Passare il microfono
La scelta di non partecipare, né dentro né fuori il palazzo, è stata sofferta. Sappiamo per esperienza quanto la pressione dei movimenti sia stata indispensabile in passato. Ma è una scelta convinta.
La prima ragione ha a che fare con il particolare significato di questa Cop. Dopo diversi anni, l’incontro torna a svolgersi in Africa, in Egitto. E, forse per la prima volta, al centro del dibattito c’è il tema dei risarcimenti climatici. In breve, i soldi che le nazioni del sud globale chiedono e pretendono dal nord ricco per rimediare ai danni che la crisi climatica già gli sta infliggendo. Un principio semplice: chi ha inquinato, il mondo industrializzato, paga i danni che provoca. In gergo tecnico si chiama Loss&Damage. Una misura di buon senso rispetto alla quale le nazioni ricche continuano a fare spallucce.
Ecco, ong e movimenti a Sharm parleranno e pretenderanno soprattutto questo. Ed è giusto che a farlo in prima linea siano le persone colpite, chi viene dalle nazioni che del Loss&Damage hanno disperatamente bisogno. Quest’anno abbiamo preferito fare un passo indietro e lasciare il palco a chi ne ha più diritto: le attiviste e gli attivisti di Fridays For Future africani, latinoamericani, asiatici. Dando il nostro supporto nelle retrovie – con le raccolte fondi che avrete visto in queste settimane.
Questo, ovviamente, non significa restare con le mani in mano. Al contrario, protestare a casa nostra perché il governo italiano stanzi i fondi necessari sarà fondamentale. Riportare ciò che vedono e dicono i nostri compagni del sud globale presenti sarà altrettanto centrale.
Il regime egiziano ha già promesso di lasciare ben poco spazio alle proteste, imponendo regole draconiane a chi manifesta e restringendo gli accessi. A maggior ragione servirà vigilare, verificare eventuali abusi, non lasciare solo chi è là.
Giulio Regeni, e non solo
Quanto detto sopra basterebbe a spiegare la nostra scelta – condivisa da altri Fridays europei ed occidentali. Ma noi, come italiani, sentiamo anche una ragione in più.
La vicenda di Giulio Regeni non ha bisogno di riassunti. Grazie a lui tutti, nel nostro Paese, conoscono la brutalità del regime di Al-Sisi. Una dittatura che, secondo le stime, tiene dentro le sbarre oltre sessantamila prigionieri politici.
Il governo italiano, troppo impegnato a vendere armi al Cairo e importare idrocarburi dai mari egiziani, ha mantenuto aperti i canali diplomatici con il regime. Nel nostro piccolo, non vogliamo essere complici di questa negligenza colpevole.
Anche per questo, non andremo a Cop27.