Un eventuale processo ai killer dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci, potrebbe rischiare di finire in uno stallo. Ci si potrebbe trovare, infatti, di fronte a un caso simile a quello degli 007 indagati per l’omicidio Regeni e che da mesi tiene in scacco la Procura di Roma. Stavolta, per i fatti che sono avvenuti in Congo il 22 febbraio 2021, l’intoppo potrebbe essere rappresentato dalle ammissioni di 5 membri della banda di rapinatori (arrestati nel Paese centroafricano a gennaio scorso): le loro parole sono state verbalizzate senza la presenza dei difensori, come invece previsto in Italia. Di conseguenza, quegli interrogatori non possono essere utilizzati nel fascicolo ancora aperto a Roma. Gli investigatori stanno cercando di capire come risolvere la questione, che però si è complicata ancor di più a luglio, quando gli uomini del Ros sono andati in missione in Congo per interrogare gli arrestati e verificare l’attendibilità delle loro precedenti dichiarazioni. Qui è successo che davanti ai carabinieri italiani i cinque hanno rettificato, stavolta però alla presenza dei loro avvocati, il che rende i secondi interrogatori utilizzabili. Inoltre, secondo i media locali, i membri della banda – nel processo nel frattempo iniziato davanti al tribunale militare congolese – stanno negando gli addebiti, sostenendo che le confessioni sono state loro estorte con la violenza. Le strade dunque sono due: o in Congo è in corso una farsa, oppure se la banda è responsabile del duplice omicidio, processarli in Italia potrebbe non essere facile.
Se quindi quello sui presunti killer resta ancora aperto (e chissà per quanto), la Procura di Roma nel frattempo ha chiuso l’altro filone d’indagine che riguarda le misure di sicurezza messe in atto durante il viaggio di Attanasio del 22 febbraio 2021. Il pm Sergio Colaiocco ha chiesto il rinvio a giudizio per due dipendenti del Pam, l’organizzazione dell’Onu sul programma alimentare, accusati di omicidio colposo. Luguru Rwagaza e Rocco Leone, secondo le accuse “quali organizzatori (…) e partecipanti della missione del Nord Kivu del 22 febbraio 2021, omettevano di predisporre, per negligenza, imprudenza e imperizia, ogni cautela idonea a tutelare l’integrità fisica dei partecipanti alla missione Pam che percorreva la strada Rn2 (…) attraversando territori notoriamente caratterizzati da particolare instabilità geopolitica”, riporta il capo d’imputazione. Imprudenza che si sarebbe concretizzata “attestando il falso, al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell’ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam, così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta almeno 72 ore prima, come previsto”.
I due indagati sono stati sentiti mesi fa. L’8 giugno 2021, Rwagaza, al pm Colaiocco, ha detto: “Il 22 febbraio 2021 mi sono svegliato al mattino presto e sono andato in ufficio per assicurarmi che tutto procedesse bene in termini logistici; ogni cosa, veicoli, comunicazioni, autisti, giubbotti antiproiettili riposti in ogni veicolo (…). Ho fatto un colpo di telefono a Sierra Base, che sarebbe la centrale operativa di Undss (il Dipartimento di sicurezza e protezione, ndr) per chiedere informazioni in ordine alla sicurezza della strada da percorrere e mi hanno detto che non c’erano problemi. Ho chiamato anche la polizia per appurare da loro se vi fossero problemi lungo la strada e mi hanno detto che non c’erano problemi di sicurezza”.
Il 7 marzo 2021, invece Leone ha spiegato: “(…) Per quanto riguarda l’organizzazione della sicurezza della missione a Goma (…), gli aspetti operativi sono stati curati dal nostro ufficio interno sicurezza, in applicazione delle procedure stabilite da Undss. (…) Per quanto riguarda l’organizzazione e la pianificazione della visita, abbiamo preparato un’agenda delle attività, condivisa con l’Ambasciatore e l’Ambasciata. Mi ha contattato Vittorio Iacovacci, al quale ho riferito che avrebbe dovuto parlare con i responsabili per la sicurezza, per gli aspetti di sua competenza”. Sarà il gip a decidere se mandarli a processo o proscioglierli. Mentre quella dell’individuazione dei killer per i pm romani rimane una strada ancora impervia.