Gli scarti cancerogeni delle lavorazioni delle pelli venivano sversati nei canali e nei campi. Gli stessi materiali, insieme a ceneri e fanghi tossici, sono stati mischiati in modo clandestino agli inerti e utilizzati per riempire fondamenta e strade (come la regionale 429 di Val D’Elsa), edifici residenziali e persino aeroporti. Così – facendo sparire otto tonnellate di keu, i residui della concia contaminati da cromo, arsenico, borio e selenio – hanno avvelenato un pezzo di Toscana. La manovalanza, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Firenze, era affidata alla ’ndrangheta: il lavoro sporco lo facevano personaggi legati per gli inquirenti al clan Grande Aracri di Cutro. Per gli interventi di alto livello – “deroghe ed elusioni”, approvazioni compiacenti, erogazioni a fondo perduto, nomine ai vertici degli organi di controllo gradite ai controllati, e neutralizzazione dei funzionari che volevano applicare la legge – la potente lobby dei conciatori avrebbe avuto un canale privilegiato con i più alti livelli della politica regionale toscana. Ed è proprio da questo filone che emergono le novità più importanti dell’inchiesta “Keu”, chiusa ieri dalla Procura fiorentina, e che rischia di travolgere pezzi importanti del Partito democratico: una nuova contestazione di corruzione elettorale coinvolge un big locale del partito, il consigliere regionale Andrea Pieroni, molto vicino al segretario Dem Enrico Letta. Nel 2014, in occasione delle elezioni regionali toscane, l’ex premier accorse in Toscana per sostenere Pieroni: “Ci conosciamo da quando abbiamo i pantaloni corti, da lui comprerei anche un’auto usata”. I due hanno partecipato a incontri molto recenti: “Anima e cacciavite – diceva il consigliere nel 2021 citando il libro dell’amico Enrico – è quello che ci vuole per il Pd”.
Fra i 38 indagati ci sono altri due volti noti del Pd sul territorio: Giulia Deidda, sindaca di Santa Croce sull’Arno, comune pisano che ospita il distretto della concia, è indagata per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; Ledo Gori, capo di gabinetto di due presidenti della Regione Toscana (non indagati), è accusato di corruzione. Gori (sospeso dopo la divulgazione dei primi atti di indagine) era il braccio destro dell’ex governatore Enrico Rossi e per lui ha anche raccolto i finanziamenti elettorali dei conciatori: “Si attivava per raccogliere contributi finanziari in favore del presidente uscente della Regione Rossi – scrivono i pm, coordinati dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli – facendo chiaramente intendere in tale contesto, durante un pranzo conviviale in cui aveva coinvolto il Rossi, di essere a disposizione dei conciatori per le loro esigenze con riguardo ai rapporti con l’ente regionale e a cui proferiva espliciti ringraziamenti per essersi attivati per il rinnovo della sua carica di capo di gabinetto, riconoscendo il loro ruolo per la nomina ricevuta, avendo costoro fatto esplicita richiesta in tal senso a Eugenio Giani, già in campagna elettorale”. Rossi è stato candidato in Parlamento dal Pd alle ultime elezioni, ma non è stato eletto.
Sotto accusa ci sono alcuni tra i più noti imprenditori del settore delle pelli, tra cui Aldo Gliozzi e Alessandro Francioni (direttore e presidente dell’associazione conciatori), Franco Donati (membro del Cda) e Pietro Maccanti (ex direttore). Una figura centrale è quella di Francesco Lerose, riferimento dei conciatori in tema di smaltimento. Lerose viene definito così dalla Dda fiorentina: “Imprenditore a disposizione della ’ndrangheta operante e insediata nel territorio crotonese, e riconosciuto come tale dai suoi affiliati, ne otteneva occasioni di lavoro anche in collaborazione con imprese riconducibili a cosche alleate a Grande Aracri, come i Gallace-Arena, per occultare e smaltire illecitamente i rifiuti gestiti abusivamente contenenti Keu, fornendo a un’impresa controllata dai Gallace, gratis o a prezzo meramente simbolico, il rifiuto contaminato come se fosse materiale inerte da impiegare per rilevati e sottofondi”. All’inizio del 2021 Lerose è stato colpito da un sequestro antimafia della Dia da 5 milioni di euro.
La presunta opera di lobbying avrebbe agito a vari livelli. Tra gli episodi contestati uno mette nei guai anche Pieroni. Fra maggio e giugno 2020 il consigliere è in scadenza di mandato e si mette a disposizione di Gori e della lobby dei conciatori come primo firmatario di un emendamento “di cui non conosceva e comprendeva neanche il contenuto tecnico – scrivono i pm – perché redatto e ideato in realtà dal consulente legale del consorzio Aquarno, l’avvocato Alberto Benedetti”, che consisteva nel “sottrarre Aquarno dall’obbligo di sottoporsi alla procedura di autorizzazione integrata ambientale”. L’emendamento viene approvato attraverso una “procedura non conforme al regolamento del consiglio regionale”, “impedendo all’opposizione di conoscerne prima il contenuto”. Non male per uno da cui comprare tranquillamente una macchina usata.