Il caso dell’insegnante indagata per il video di Matteo Renzi che incontra l’allora funzionario dei Servizi segreti Marco Mancini all’Autogrill è una vergogna nazionale. La nostra categoria finora è stata distratta e dovrebbe intervenire a tutti i livelli per scongiurare una minaccia alla libertà di stampa.
Ci vorrebbe una mobilitazione generale contro una norma e un atteggiamento dei pm indegno di un paese liberale. I giornalisti finora si sono girati dall’altra parte forse perché l’inchiesta colpisce una fonte, non uno di loro. Questo atteggiamento è miope e corporativo.
L’inchiesta sulla fonte di Report è un punto di non ritorno. Per una volta la categoria dovrebbe metter da parte personalismi e rivalità per difendere un bene a cui tutti dobbiamo tenere: i cittadini onesti che credono ancora nella libertà di stampa e ci aiutano a fare informazione trasformandosi in ‘fonti’. I direttori e i più autorevoli giornalisti di inchiesta, l’Ordine, la Fnsi, Articolo 21, la stampa estera, tutti, dovrebbero reagire a questa indagine perché questa norma, applicata così, rappresenta una restrizione della libertà di comunicazione garantita dall’Articolo 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
Qui ci sono due problemi enormi. C’è una politica arrogante che nel 2017 ha approvato una norma per punire chi gira un video e lo diffonde anche se si tratta di fatti e personaggi pubblici. E ci sono poi i pm che interpretano quella norma in modo ampio per indagare una cittadina rea solo di videoregistrare (senza che si senta l’audio) l’incontro di Renzi all’autogrill con uno 007 e di segnalare la cosa a Report. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’insegnante rischia 4 anni di galera per aver cercato solo di aumentare la conoscenza pubblica su un fatto di rilievo pubblico.
Grazie all’articolo 617 septies, introdotto dal governo Gentiloni, sostenuto da Renzi, una cittadina si trova nel mirino dei pm proprio per la denuncia di Renzi. Il leader di Iv ipotizzava addirittura i reati di 617 bis e 323, cioè un’intercettazione abusiva realizzata con la complicità di qualche pubblico ufficiale. I pm hanno verificato che questa tesi era infondata. La signora non mentiva: è davvero una cittadina animata solo dal senso civico. Invece di chiederle scusa l’hanno iscritta per un altro reato che nemmeno l’ex premier denunciava.
L’articolo 617 septies punisce con la reclusione fino a 4 anni “Chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione”. Quando fu approvata tutti negavano che si potesse parlare di norma anti-Report perché c’era la non punibilità per il diritto di cronaca. Ora che viene applicata a un video mostrato da Report i politici fischiettano.
I pm potevano interpretare l’articolo in modo più favorevole al cittadino comune, invece è prevalsa la linea più attenta alla reputazione del ‘personaggio’. Il reato punisce chi ‘diffonde’ ma la fonte in questo caso ha solo inviato via mail il video a Report e non ha diffuso nulla al pubblico. Lei non riconosce lo 007 e affida ai giornalisti il compito di capire se quel video sia una notizia. Report riconosce Mancini e decide di diffondere il video perché è una notizia. Tanto che dopo la messa in onda il sottosegretario alla presidenza Franco Gabrielli emana una direttiva restrittiva sugli incontri degli 007 con i politici. Questo miglioramento delle regole democratiche è frutto del senso civico di una persona che rischia 4 anni di galera. Tutti dovrebbero ricordarlo.
I pm non hanno valorizzato anche un’altra via di uscita che avrebbe permesso di non indagare l’insegnante: l’avverbio ‘fraudolentemente’ solitamente richiede qualcosa di più di una videoregistrazione in luogo pubblico non autorizzata. Non basta: la legge prevede la non punibilità se la diffusione è diffusa direttamente “per l’esercizio del diritto di cronaca”. I pm forse hanno ritenuto che sia una tutela riservata solo al giornalista come se la difesa della libera informazione fosse una questione riservata a chi ha il tesserino. Invece il giornalismo si nutre del rapporto con i cittadini e le fonti sono la linfa che alimenta l’albero della libertà di stampa. Per questo tutti dovrebbero difendere l’anonima insegnante almeno con la stessa foga impegnata per difendere Saviano.