Le recenti esternazioni del Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, hanno ancora una volta riportato l’attenzione sulla realizzazione della pista da bob a Cortina. In una lettera inviata al CONI e al ministero dello Sport lo scorso 26 ottobre aveva evidenziato come “la situazione geopolitica attuale e la crisi in corso abbiano comportato l’aumento in alcuni casi esponenziale delle materie prime” con stime di costi lievitati per la pista stessa. In realtà il costo iniziale presentato nel dossier di candidatura doveva ammontare a 47 milioni di euro, poi passati a 61 milioni (pagati con i soldi dei veneti, diceva Zaia un anno fa) in seguito erogati dallo Stato con un emendamento alla Legge finanziaria alla fine del 2021. Ora siamo già passati a oltre 100 milioni di euro per la nuova pista, dove trovare i soldi mancanti? Ecco la piroetta. Zaia prende le distanze con la lettera succitata, poi fa marcia indietro a distanza di poche ore dopo aver ricevuto la risposta da Malagò e dal ministro dello Sport Aboldi che non si può uscire dai confini nazionali e quindi la pista da bob si farà a Cortina.
Le esperienze precedenti contano poco o nulla. La pista “Eugenio Monti” di Cortina risale al 1923 ed è chiusa da ormai 15 anni per gli insostenibili costi di gestione, circa 400.000 euro l’anno. Anche i costi della gestione futura ricadranno sul territorio veneto e del Comune di Cortina oltre che sui confinanti, cioè i comuni montani delle zone vicine tra il Veneto e le province autonome di Trento e Bolzano; però ad oggi, a causa dell’innalzamento del prezzo dell’energia, si parla di una spesa prevista intorno al milione di euro l’anno. Le stesse motivazioni indussero alla dismissione della pista di Cesana Torinese, costata 110 milioni di euro (partendo da un preventivo di 60) e realizzata per i mondiali del 2006; anche in quel caso si decise di costruire una nuova pista rinunciando al recupero di quella di Cervinia, risalente al 1963. La pista di Cesana è stata utilizzata fino al 2011, poi gli elevati costi di gestione portarono alla sua chiusura con lo smaltimento delle 400 tonnellate di ammoniaca necessarie per l’impianto di refrigerazione, per evitare eventuali fuoruscite potenzialmente pericolose a livello ambientale. All’inizio della candidatura italiana per le olimpiadi invernali 2026 nacquero polemiche in relazione al possibile recupero dell’impianto di Torino 2006, con una spesa preventivata di “soli” 15 milioni di euro. Ad oggi l’unica soluzione prospettata per Cesana, oltre a lasciare andare in malora l’impianto, è il suo totale smantellamento con 3-4 milioni di euro di spesa. Come sempre la storia si ripete, e noi non impariamo nulla.
Riguardo la proposta di associazioni e comitati locali di spostare con minima spesa le gare di bob, slittino e skeleton ad Igls-Innsbruck, ci è stato risposto che per una questione di prestigio e di impegni presi con il CIO (il quale ha comunque sollevato le proprie perplessità) le gare non possono uscire dall’Italia. Tra i precedenti ricordiamo però le gare di equitazione alle Olimpiadi di Melbourne 1956 (Australia) disputate in Europa a causa delle leggi australiane sull’importazione dei cavalli, che prevedevano una quarantena troppo lunga; le competizioni si svolsero in varie sedi a Stoccolma (Svezia). Quindi perché non spostare le gare di bob in Austria, a poco più di due ore di auto? E perché non pensare all’opzione zero, abbandonando del tutto il progetto? Altre olimpiadi invernali si sono comunque svolte senza il bob, ad esempio l’edizione del 1960 a Squaw Valley in California; il quel caso il Comitato Organizzatore decise di non costruire la pista da bob per l’evento. Ricordiamo che in Italia sono tesserati in tutto 34 praticanti tra bob, slittino e skeleton; in pratica la metà di essi parteciperà alle olimpiadi! E’ questo il bacino di utenza della prossima pista da bob di Cortina?
Molte problematiche territoriali si potrebbero risolvere con gli oltre 100 milioni di euro necessari al bob, per aiutare i cittadini di montagna e cercare di combattere lo spopolamento delle zone interessate. C’è bisogno di potenziare i servizi sociali e sanitari, per esempio, o di intervenire contro il dissesto idrogeologico per la manutenzione dell’ambiente e la sicurezza degli abitanti. L’Italia doveva essere il progetto pilota dell’applicazione dell’Agenda olimpica del CIO 2020, ma fin dall’inizio non sono state rispettate regole alle quali le opere olimpiche avrebbero dovuto sottostare: per la pista da bob non è stata fatta la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), manca la Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) per le singole opere, perfino le Valutazioni di Incidenza Ambientale (VincA) in aree di Rete Natura 2000. Si procede a colpi di commissariamento. Dov’è la sostenibilità?
Dovevano essere le olimpiadi a costo zero, ma ad oggi si sono superati abbondantemente i 4 miliardi di previsione di spesa, tutti a carico dello Stato o di Regioni e Province. La Regione Veneto stima un indotto sul PIL di oltre il milione e centomila euro: ma com’è possibile fare certi calcoli? Su quali basi? Le Olimpiadi e le grandi manifestazioni sportive in genere hanno portato solo debiti e cattedrali nel deserto, non per nulla la candidatura di Milano-Cortina è avvenuta dopo il ritiro dei principali competitors come la stessa Innsbruck, Calgary in Canada e Sion in Svizzera, in lizza era rimasta la sola Stoccolma. Qualcuno i conti li sa fare?