Noi che guardiamo, da lontano, la ferita fangosa che precipita dal monte Epomeo, ci sentiamo partecipi e rassegnati. Con le due cose che vanno di pari passo, perché non si può non piangere al pensiero delle famiglie cancellate e, insieme, non sorridere amaro nell’ascoltare per la millesima volta il copione delle parole perdute nel nulla.
Il sindaco che rigetta, dolente, la brutta nomea dell’isola fondata sull’abusivismo. Il ministro che annuncia lo stanziamento e una profonda riflessione. I partiti che si tirano addosso condoni e sanatorie, che furono autorizzati nel condiviso silenzio-assenso quando a tutti facevano comodo e voti. L’ambientalista che denuncia gli allarmi inascoltati. Il magistrato che invoca leggi più severe. Il capo della Protezione civile che mette le mani avanti, secondo cui il 94 per cento dei nostri Comuni è minacciato da dissesto idrogeologico (con il restante 6 per cento che forse, tranquilli, è già franato). Il conduttore televisivo che grida tutto il suo sdegno, vergogna, applausi, e ora la pubblicità.
Noi che guardiamo, dentro noi stessi, con l’indifferenza dell’assuefazione lo sfasciume di un discorso pubblico che si è del tutto consumato, autofagocitato, nelle tragedie annunciate e negli eterni piani allo studio del governo, troviamo riparo nella serena consapevolezza che non ci sia più niente da fare. Inutile, e dannoso, mangiarsi il fegato dell’onesto contribuente davanti alla rottamazione delle cartelle esattoriali, e se Meloni azzera i pagamenti fino a 1.000 euro mentre corriamo alla Posta per non pagare la mora sulla contravvenzione, coglioni noi e bravi loro, punto. Perfino se siamo al volante occhio perché, ci avvertono, soprattutto la sera il consumo di coca, alcol e abuso di farmaci creano uno stato di alterazione collettiva. E se quel tale ci taglia la strada contromano e ha lo sguardo strano e ti urla contro meglio se fai retromarcia e chiedi scusa.
Non abusiamo? Non evadiamo? Non ci droghiamo? Rispettiamo le leggi? Peggio per noi.