“La signora sola non corre, non ancheggia, non batte i tacchi con petulanza”. E poi: “Tiene le mani l’una lungo il fianco, l’altra ripiegata a tenere la borsetta”. E ancora: “Se viene importunata, evita di fare scene clamorose ma si limita a tirar dritto”. Qualche settimana addietro, durante una passeggiata mattutina, mi sono imbattuto in un foglio spaginato di una rivista gettato a terra: una donna è di spalle – l’acconciatura, la confezione del tailleur con le maniche sotto il gomito, e l’iconografia mi dicono che siamo negli anni Sessanta – e accanto, trovo scritto quel breve prontuario di comportamento per una signora che passeggi da sola. Mi guardo intorno, a qualche metro di distanza ecco un altro foglio. Leggo: “Lontane una dall’altra, suocera e nuora sono nella maggior parte dei casi persone ragionevoli ed equilibrate; insieme, difficilmente sanno vivere secondo il galateo”. Questo, invece, è il Decalogo della suocera e della nuora, in cui si ricorda alla prima di “dominare il naturale risentimento verso la donna che le ha rubato il figlio” e alla seconda di “soffocare la gelosia” per l’affetto filiale del marito, che è definito “la principale vittima del loro disaccordo”. Non faccio in tempo a chiedermi da quale Medioevo provengano queste pagine – mentre Maria Callas nella mia testa sta già intonando da Traviata “Follie, follie… Delirio vano è questo” – che appoggiata a un cassonetto lì vicino scorgo una ventina di volumi impilati. Si tratta de L’enciclopedia della donna: uscita prima in edicola a fascicoli, e poi raccolti tutte in venti volumi nel 1964 per la Fabbri Editori, era una specie di vademecum per aspiranti fidanzate e spose. Non ne ho mai saputo nulla: mia nonna leggeva classici greci, e mia madre romanzi francesi e russi. La fisso curiosamente. In copertina, una donna in toilette da sera si sta struccando, una bambina ha l’aria di ascoltare attenta degli insegnamenti, e un salotto è perfettamente organizzato. Leggo il frontespizio: “Grande enciclopedia di nozioni pratiche e cultura generale per la donna”. Sfoglio sommariamente i volumi meglio tenuti, tra le occhiate di quanti mi iniziano già a considerare un accattone, e inciampo su nozioni di taglio, cucito, cucina, economia domestica, e galateo. Soprattutto, su altre frasi del tono: “Mai come oggi la donna, nella sua continua gara di emulazione del sesso forte, ha avuto la possibilità di praticare tanti sport”, oppure “Se la donna al volante è spesso maldestra, ha però una scusante: essa guida in condizioni psicologiche di inferiorità”, e infine “Oggi le donne che vivono sole non suscitano più sospetto, ironia o compassione”. Mi rendo conto che si tratta di un prontuario maschilista per configurare le donne al piacere del pater familias. Insomma, mi viene da pensare che nessun posto è più indicato del cassonetto per la raccolta della carta per quell’enciclopedia e mi allontano. Ci ripenso, torno indietro, scatto una foto e la mando alla collega Silvia D’Onghia. Ottimista, le scrivo: “Che sia un segnale dei tempi?”. E lei, realista quindi dubbiosa, risponde: “Tu dici?”. E allora, ripenso ai nomi letti sulla facciata di Palazzo Chigi illuminata di rosso il 25 novembre – Irene, Francesca, Claudia, Simona – ai numeri mai in calo della violenza sulle donne, e ai femminicidi, e ai casi di revenge-porn e catcalling, e all’annosa questione del diritto all’aborto garantito. Siamo davvero così distanti dagli anni ’60, quando a una donna nero su bianco – anzi, nero su bianco con tanti colori e disegnini per farlo apparire più simpatico – veniva apertamente consigliato di non fare scenate se qualcuno la molesta, di essere ordinata, di non farsi notare, di avere contegno? E mi chiedo: ma se oggi lo scrivessero proprio le donne un agile Breviario per l’uomo contemporaneo, cosa consiglierebbero?
FAMIGLIA
“L’aspetto principale – sostiene la scrittrice Nadia Terranova (autrice dei romanzi Addio fantasmi, Trema la notte e più di recente dei libri per ragazzi, Il cortile delle sette fate e Il segreto, Premio Andersen ‘22) – è considerare che, nella sua evoluzione, è famiglia il luogo dove le persone, senza fare distinzioni tra uomini e donne, hanno cura una delle altre, al di là dei legami di sangue, biologici e contrattuali”. Per Valeria Fonte – retore femminista e autrice del recente saggio Ne uccide più la lingua con cui punta a smontare e contestare la discriminazione di genere che passa per le parole – il primo passo che rende una famiglia felice è superare il recinto del matrimonio cristiano, che è “un problema patriarcale, in quanto prevede un’idea di proprietà della donna da parte dell’uomo, mentre invece deve essere chiaro che il contratto matrimoniale non può mai sfociare nella proprietà”. E prosegue: “Bisogna estirpare anche l’idea che la serenità di una famiglia derivi da quanto una donna decida di sacrificarsi in termini di felicità, determinazione; che il buon andamento equivalga a quanto una donna mozzi la propria esistenza”.
FIGLI
“Dovete eliminare dal dizionario della paternità il termine dispregiativo mammo – precisa Fonte – perché nutre quella visione maschilista florida in passato secondo cui occuparsi dell’educazione dei figli svigorirebbe la figura virile del padre, mentre invece è fondamentale oggi essere modelli maschili e non maschilisti, virili e non machisti per tirare su figlie e figli liberi dal patriarcale concetto di supremazia dell’uomo e remissione della donna”. E se da un lato Terranova concorda sul passato, affermando che “I padri di una volta avevano dei grossi problemi con l’affettività”, il suo invito alla nuova generazione di padri, per lei migliorata in tenerezza, è schietto: “Non abbiate paura di mostrare l’affettività. È bello quando vi sbrodolate o coccolate i figli, appropriatevi di ciò che erroneamente è stato ritenuto esclusivo ambito materno. Avete qualche secolo di anaffettività da rimediare”. Un doveroso e concettuale passo indietro, invece, lo compie Federica De Martino, psicoterapeuta e attivista per i diritti delle donne (sua la pagina Istangram “IVG e Sto benissimo” dove raccoglie storie di aborti), per schierarsi contro una certa retorica dominante: “La genitorialità è un processo e una costruzione. Soprattutto, la maternità non è un istinto innato, ma nasce in un desiderio e in una volontà. Non tutte le donne sono nate per essere madri, ma scelgono se diventarlo. La biologia del corpo non determina il destino del desiderio. È il vissuto a fare la differenza”. In più, sottolinea l’importanza di avere una visione condivisa sulla riproduzione: “Se siete all’interno di una relazione stabile e duratura, e magari avete già dei figli, potrebbe capitare di incorrere in una gravidanza indesiderata. I dati del ministero della Salute sull’accesso all’aborto in Italia indicano che la percentuale maggiore di chi accede all’IVG ha già figli. Potrebbe dunque capitare anche a voi. Vi trovereste concordi nell’affrontare questa eventualità insieme? Sareste concordi sulla piena autodeterminazione sul corpo e sulle scelte riproduttive da parte della vostra partner?”.
COPPIA
“Dovete liberarvi dalla retorica del cazzo duro sempre e comunque, – spiega Fonte – così come dovete smettere di pensare che le donne debbano essere sempre appetibili, prestanti, curate, depilate e con lo smalto in attesa solo di dire sì come quelle di Porn-hub. C’è una reciprocità problematica che ingabbia i sessi: così come non è possibile per la donna essere intrappolata nella pantera che ha sempre voglia di scopare, oppure nella frigida con le gambe chiuse che va convinta; dall’altro, non dovete essere sempre dei conquistatori, ma iniziate a scoprire l’esistenza di una sessualità dialogata e vissuta, fondata sul consenso”. Su questa scia si muove anche De Martino: “In una coppia si decide insieme. Alla coppia corrispondono pratiche di scoperta, di ricerca reciproca del piacere, che passano non solo attraverso la comunicazione, ma anche attraverso il consenso e la corresponsabilità. Parlare di consenso in una coppia risulta un apparente controsenso, in quanto l’essersi scelti dovrebbe rimandare alla possibilità che questo step possa essere bypassato. La realtà dei fatti è molto diversa. Chiedetevi: sapete davvero cosa piace alla vostra partner? Quanto si sente libera di esprimerlo senza turbare le vostre visioni consolidate? Avete deciso insieme se e quale metodo contraccettivo utilizzare? Le avete mai chiesto se al posto di un contraccettivo ormonale come la pillola non ne preferirebbe uno di barriera, quindi ad esempio il profilattico? Sareste disposti, eventualmente, ad utilizzarlo?”. E per finire, aggiunge: “Non dimenticatevi, soprattutto, che quando si parla di intimità, il più delle volte, esula dal sesso penetrativo”.
LAVORO
“Due atteggiamenti sono fondamentali – sostiene Valeria Fonte – nell’affrontare la questione lavoro: per primo, iniziate a coltivare anche voi la capacità multitasking che tanto ammirate nelle donne, e che in realtà è una fregatura che mollate loro per obbligale a fare più cose, e cominciate ad occuparvi anche voi di quel lavoro non retribuito in casa e in famiglia che solitamente demandate. E poi, non se ne può più delle solite domande di come faccia una donna a conciliare l’essere madre e la carriera, considerando quasi come un’eccezione o un difetto il lavoro femminile. A voi qualcuno chiede come riuscite a conciliare il lavoro con la paternità?”. L’importanza della concretezza lavorativa è fondamentale anche per la scrittrice Terranova. “Uno degli aspetti più preoccupanti in una relazione può essere una sotterranea invidia che gli uomini possono nutrire nei confronti delle compagne di successo. Per questo è necessario che abbiano un lavoro in cui si sentano realizzati”. Scrollarsi, o meglio condividere il peso dell’economia della coppia è importante anche per lasciare più spazio da dedicare alla propria relazione.
COPERTINA
Dimenticato l’iconografia luccicante e datata, e pure un po’ maschilista, dell’Enciclopedia, come potrebbe essere la copertina di questo Breviario per l’uomo contemporaneo? “Dobbiamo innanzitutto abbandonare un immaginario prevedibile o già esplorato – ci risponde Claudia Intino, artista e Art-Director romana nota con il nom de plum Gubrin – e creare nuovi codici”. Così l’arte si compie, in effetti, e così “si trasmettono riflessioni, azioni, mete e obiettivi rivoluzionari. Il mio punto di partenza sarebbe l’estetica androgina, poiché essa scava nella sensibilità identitaria di ognuno di noi, aiutando a cogliere la molteplicità e la straordinaria bellezza della natura umana, che non si schiera mai”.