Il 18 novembre, un’automobile da corsa viene ricoperta da chili di farina che volano per tutta la sala della Fabbrica del Vapore, sede della mostra di Andy Warhol. L’immagine è spassosa, piena di colori, movimento, e la reazione esagerata: la folla astante spintona e trascina via con forza donne disarmate e pacifiche, perché hanno paura che della farina possa rovinare la lamiera dell’auto. Nel pomeriggio viene annunciato che alcuni ingegneri BMW si sarebbero recati sul posto dalla Germania per pulire l’automobile e che l’intervento sarebbe costato oltre 10.000 euro. Pare un racconto di Dino Buzzati o di Paolo Villaggio! Nel frattempo, in sala, la farina sospesa in aria rimanda a un “illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi decenni fa, che io rimpiango” (Pasolini), l’età del pane.
Il 3 novembre, a Bologna, viene messa in scena la strage degli innocenti (di Ischia) firmata dal governo Italiano, grande pittore di stragi d’autore. Ultima Generazione inscena una vera e propria performance composta: sul muro, a fianco dell’opera “La Strage degli Innocenti” di Guido Reni, viene incollata una fotografia della frana di Ischia, con scritti attorno i nomi delle giovani vittime innocenti, e, di fronte alla tela, due persone si cospargono lentamente di mistura rossa, coprendosi del simbolico sangue degli infanti deceduti. Cinque persone di diverse età si siedono infine per chiedere ai visitatori di accostarsi per riflettere insieme sul significato delle opere, su l’agghiacciante analogia con la contemporaneità e sui contenuti che riportano a un dolore straziante, all’antico pianto di madri private dei loro figli dalla violenza di pochi, per un’eterna ingiustizia ripetuta in ogni fase storica: élites criminali nei confronti del popolo. Come cantava Leonard Cohen, “La sacra colomba verrà catturata ancora /comprata e venduta/ e comprata ancora/ la colomba sacra non è mai libera”.
Il 7 dicembre abbiamo gettato vernice lavabile blu, rossa, arancione, verde e rosa sulla facciata del Teatro alla Scala di Milano che attendeva, in occasione della Prima, l’arrivo in pompa magna dei despota del nostro presente, gli uomini grigi di Momo che rubano il tempo alle future generazioni, per tenerlo per sé, per vivere l’eterno sogno, miope e ormai anacronistico, di magnifiche sorti e progressive legate al genio maligno del fossile. Questo sogno allucinato regge il proprio peso su fondamenta marce, milioni di uomini, donne e bambini africani e pakistani che stanno morendo di fame e che emettono, da lontano, già nell’occhio del ciclone, un rantolo sofferto che chiede salvezza, rivolto a chi ancora si rifiuta di vedere, di ascoltare la verità. Questa ingiustizia è tanto cruda e la scena così surreale, da essere stata costruita in un racconto di Buzzati, Paura alla Scala. Il racconto narra di un’élite folle, profondamente distante dal mondo reale, che assiste all’opera “La strage degli innocenti” senza comprendere la verità in essa contenuta, ma solo preoccupata, nel mentre, al pensiero dei rivoluzionari che li aspettano fuori dal teatro. Vi ricorda qualcosa? Qualche attinenza con la realtà?
Il 9 dicembre, cittadini e cittadine italiane e francesi bloccano il traffico ai due ingressi del traforo del Monte Bianco, che sempre più verrà attraversato da migranti, anche italiani, in cerca di pane e di acqua, di nuovi spazi abitabili. Vediamo persone comuni abbracciate nella neve, una giovane donna abbraccia un giovane adolescente per aiutarlo a resistere al freddo. La polizia fornisce ai manifestanti italiani delle coperte isotermiche per resistere una mezz’ora in più nella loro lotta, aspettando l’arrivo dei pompieri chiamati per sciogliere le catene con cui si sono legati. Nella neve, insieme, avvolte in coperte simili a carta dorata di cioccolatini, per chiedere giustizia. Quest’immagine ricorda il candore dell’infanzia e delle feste natalizie, un’istantanea di una profonda nostalgia per un futuro di gioia, tepore e tenerezza che non sarà possibile per i nostri figli e nipoti.
Infine, il 14 dicembre, a Venezia, viene bloccato il “Ponte della Libertà”. Un contadino arrabbiato si avvicina ai manifestanti, li ascolta e, infine, empatizza con la protesta, li ringrazia. Questo ponte permette il trasporto di rifornimenti diretti alle raffinerie di petrolio di Porto Marghera. Questo ponte non unisce niente. Non fa altro che avvicinare persone alla propria morte mentale. Trasporta i veneziani ai propri luoghi di lavoro o i turisti verso una città incantata a godere dei suoi ultimi frutti, prima che anche questo giardino dell’Eden venga sommerso e sottratto al mondo reale per diventare storia e ricordo. Questo ponte ci accompagna negli spazi che il sistema ha inventato, lavoro e divertimento, affinché non possiamo guardare coi nostri occhi negli occhi di un mondo che muore e sogghigna perché ci vuole trascinare via con sé nel cuore delle tenebre e piange perché ci ama. Come cantava Gianfranco Manfredi: “La morte non è poi così lontano / non è lei che ci chiama / Siamo noi che l’amiamo/”.
Mi chiedo spesso quale sia la funzione storica di Ultima Generazione. Credo che il compito più importante e duraturo della campagna sia fabbricare immagini tragi-comiche, immagini leggere, simili a un racconto di Calvino. Leggerezza sublime, non superficiale. La vita animale e umana sulla terra potrebbe trovare una fine in poco più di un secolo. Nei prossimi venti anni assisteremo a centinaia di milioni di morti a causa di ondate di calore, carestie, inondazioni, crisi economiche, crollo dei sistemi sanitari; questo è inevitabile. Possiamo ancora limitare i danni, evitare il disastro definitivo, agendo ora, risparmiando la morte di miliardi di persone, animali, ecosistemi. Siamo qui a chiedervi: davvero queste immagini di follia, tragedia e amore non ci rendono più umani? Le azioni di Ultima Generazione smascherano e mostrano città invisibili, le città dei topi, le città sotterranee, laddove la corruzione dei governi e delle società umane si manifestano in espressione di rabbia grottesca per quindici minuti di ritardo a lavoro e in espressioni idiote di politici populisti che ignorano di avere l’acqua già al bacino mentre dalle loro scrivanie si filmano sui social media per fare proclami contro coloro che bloccano le strade e imbrattano i musei. Dichiarano di avere tutto sotto controllo, che i loro decreti e provvedimenti fermeranno la rivoluzione climatica e sociale mentre in fondo cominciano ad avere paura, a reprimere, come sta iniziando ad accadere in questi giorni in tutta Europa.
D’altra parte, assistiamo a persone comuni abbracciate nella neve, sospese su un ponte, che piangono e ridono come ubriachi davanti al falò della festa del Maggio, ventenni che accettano dignitosamente la galera in Germania, Inghilterra, Canada, Australia, U.S.A., Svezia. Quello che vediamo sono immagini di amore assurde e inusuali, traumatizzanti rispetto al vissuto comune di questa società tossica e fallimentare. Assistendo alle proteste climatiche, sempre più cittadine e cittadini, preoccupati per il futuro dei loro nipoti e figli, si stanno riappropriando della loro immagine di persone arrabbiate per il tradimento dei governi, di individui innamorati della vita. Credo che Ultima Generazione stia creando attimi concreti di Verità oggettiva, laddove le parole non saprebbero esprimere una simile stortura del reale significato di Vita. Unitevi all’amore. Unitevi alla rabbia. Unitevi alla resistenza.