Il contatto giusto arrivava dall’uomo che tutti chiamavano semplicemente “l’algerino”. “È uno che lavora per il governo del Qatar e si chiama Boudjellal. Mi metteva in contatto con una persona in Turchia, credo di origine palestinese”. Quello gli dava un numero di telefono del Belgio: “Dovevo chiamarlo per avere i soldi”. Si trattava di una persona sempre diversa. “E io ogni volta cancellavo quei numeri, per non lasciare traccia”. È così che il Qatar pagava le sue mazzette nel cuore dell’Europa. A raccontarlo è Francesco Giorgi, l’assistente parlamentare finito al centro dell’indagine della procura di Bruxelles. Lo chiamavano “il surfista dell’Idroscalo”, è di Abbiategrasso, ha 35 anni e una figlia di 22 mesi avuta da Eva Kaili, la sua compagna, destituita dalla vicepresidenza dell’Europarlamento dopo essere finita agli arresti con lui. Giorgi sta provando a scagionarla, visto che da quando è finito in carcere ha cominciato a collaborare con gli inquirenti. “Farò tutto quello che è necessario perché mia figlia possa restare con sua mamma”, dice l’assistente parlamentare. Che prima è stato interrogato dalla polizia federale, poi dal giudice istruttore Michel Claise, riempiendo tre lunghi verbali.
I CONTATTI CON L’“ALGERINO”. In quelle pagine c’è il racconto di come funzionava il sistema scoperto dal “Vsse”, il servizio segreto del Belgio: una squadra composta da Giorgi e dai suoi datori di lavoro, cioè l’ex europarlamentare Antonio Panzeri e l’attuale deputato Ue Andrea Cozzolino, che a differenza degli altri due non è mai stato né indagato o interrogato. Per l’accusa il team lavorava al servizio del “Dget”, l’intelligence del Marocco, ma pure del governo di Doha (almeno nel caso di Panzeri e Giorgi). “Opera con una discrezione che va oltre la semplice prudenza, evitando di apparire troppo apertamente pro Marocco all’interno del Parlamento Ue, usando un linguaggio in codice e nascondendo i soldi nei propri appartamenti”, annotano gli 007 di Bruxelles nell’informativa che ha dato avvio all’inchiesta. Per l’intelligence si tratta di un affare da “diversi milioni di euro”. E in effetti è soprattutto di soldi che parla Giorgi. Per prendere quelli del Qatar serviva parlare con “l’algerino”, poi col palestinese in Turchia e infine chiamare il contatto che rispondeva dal Belgio. “Il totale era variabile, per me è difficile stimarlo, erano loro a decidere”, sostiene Giorgi, spiegando che quella triangolazione avveniva “due o tre volte all’anno”.
I viaggi offerti da Atmoun. Per il Marocco, invece, le mazzette arrivavano in contanti e sempre da Abderrahim Atmoun, l’ambasciatore di Rabat in Polonia: “Portava ogni tanto dei soldi ma non in modo regolare. Erano importi di qualche decina di migliaia di euro. Io stimo la somma totale in 50mila euro”, è il racconto dell’assistente. Anche qui usavano un linguaggio in codice: “Atmoun veniva a Bruxelles, oppure andavamo a Parigi, a casa sua, nel suo appartamento. Quando andavamo a prendere dei soldi dicevamo che andavamo a prendere delle cravatte o degli abiti”. Dal Marocco arrivava anche altro: “A dicembre Atmoun voleva regalare un viaggio a Marrakech a me, Panzeri e le rispettive famiglie. Ho un po’ esitato all’inizio, poi ho detto sì. Avevamo parlato anche per la sorella e il cognato di Eva, alla fine non hanno accettato”. Non solo.
L’incontro con i sauditi. Nei racconti di Giorgi c’è anche un accordo del gruppo con la Mauritania. “È un po’ simile, ma non con lo stesso volume di soldi. Io ho affittato il mio appartamento all’ambasciatore e quella era la mia controparte: 1.500 euro + 300 di spese. Panzeri ha preso 25mila euro cash”. Ma in cambio di cosa? “Anche in Mauritania hanno un problema d’immagine. Hanno ingaggiato Panzeri per avere dei consigli su cosa fare. Siamo andati all’ambasciata della Mauritania una settimana fa e abbiamo incontrato il loro ambasciatore e quello saudita, che voleva informazioni su quello che si diceva al Parlamento Ue sul suo paese”. Insomma il servizio offerto dal gruppo di Panzeri era sempre lo stesso: consulenza ed eventuale ingerenza nelle istituzioni. Il modus operandi era quello messo in piedi col Qatar, per rispondere alle accuse sui diritti dei lavoratori usati per costruire gli stadi dei Mondiali. È per questo che il 10 ottobre Giorgi e Panzeri incontrano il ministro del Lavoro di Doha, Ali Bin Samikh al Marri, all’hotel Steigenberger Wiltcher’s di Bruxelles. “Per loro ho sviluppato un progetto di lobbying. Ho dei documenti sul mio drive, l’approccio era su tappe: fermare gli attacchi degli altri paesi, promuovere gli aspetti positivi”.
Spunta un’altra Ong. Alla fine del 2019 però, cambia qualcosa: “Panzeri ha dato l’idea di creare una ong. In realtà era l’algerino ad averlo proposto. Bisognava trovare un sistema pulito che non facesse scattare l’allarme. Lo hanno chiesto i qatarioti”. E aggiunge: “Per questo ho dato una mano a Fight Impunity. Che è stata poi costituita e alimentata finanziariamente da Human Rights Foundation il cui presidente era Thor Alvorsen”. Ma fa una precisazione: “Tutte le persone che compaiono in Fight Impunity non sono al corrente della reale provenienza dei fondi. Ignorano le relazioni tra Human Rights Foundation e lo Stato del Qatar. Solo io e Panzeri sapevamo”. Giorgi però, di questa affermazione sulle relazioni finanziarie tra la fondazione e Doha dice di non avere le prove. E non conosce neanche i dettagli dei rapporti con Figà Talamanca.
Il ruolo di Visentini. Gli investigatori vogliono sapere di più e chiedono di Luca Visentini: “Non ha niente a che vedere con tutto questo, ma era un amico di Panzeri. Il Qatar ha chiesto di mettere delle persone in posti chiave sui diritti dei lavoratori. Ha scoperto la candidatura di Visentini come segretario generale dell’Ituc e visto che Panzeri lo conosceva, lui lo ha sostenuto. Ci sarebbero stati degli accordi tra loro per sostenere la sua candidatura in cambio di contropartite”. Giorgi, però, dice di non sapere altro. Le domande degli investigatori si concentrano su altri nomi: chi ha ricevuto soldi da Panzeri? “Suppongo sia lui stesso la persona che ha gestito i contatti, Tarabella, Cozzolino…ho un vuoto. Giuro: non lo so”. E i 150mila euro trovati nella casa di Giorgi e Kaili? L’assistente parlamentare dice che erano soldi destinati a lui e Panzeri, non alla compagna. “Eva era al corrente dei soldi e dell’origine, ma non fa parte della rete. Mi aveva chiesto più volte di smettere visto che la mettevo in pericolo. Io mi rendevo conto che l’affare cresceva di importanza, che diventava ingestibile, che il sistema era malsano”. Non abbastanza per fermarsi.