“In questa tragica battaglia, l’intera Grande Shanghai cadrà e infetteremo tutto il personale dell’ospedale! Infetteremo tutta la nostra famiglia! I nostri pazienti saranno tutti contagiati! Non abbiamo scelta e non possiamo scappare”. È il messaggio concitato comparso mercoledì sull’account Weibo dell’ospedale Deji di Shanghai. Secondo i medici della struttura, attualmente nel centro finanziario cinese ci sono già circa 5,43 milioni di casi positivi. Numeri che potrebbero raggiungere i 12,5 milioni entro la fine dell’anno.
Dopo il rigidissimo lockdown di aprile, torna l’incubo a Shanghai. Ma la megalopoli non è l’unica città cinese ad arrancare davanti alla rapida diffusione del coronavirus. Storie simili continuano ad arrivare da Pechino, Chongqing, Chengdu. La lista è sempre più lunga. Da quando all’inizio di dicembre le autorità hanno smantellato la Zero Covid, la strategia a base di lockdown improvvisi, test di massa, contact tracing, e quarantena centralizzata, l’infezione ha cominciato a circolare rapidamente in varie parti del Paese. Quanto non è chiaro.
Stando alle stime ufficiali, mercoledì i casi sintomatici a livello nazionale erano poco più di 5.000. E il bilancio dei morti è fermo a quota sette da giorni, dopo la rimozione di un decesso senza spiegazione. Ma le immagini circolate sui social raccontano di ospedali al collasso e file davanti alle pompe funebri. Martedì la Commissione sanitaria nazionale ha chiarito che solo i pazienti che muoiono per insufficienza respiratoria saranno conteggiati nel bilancio ufficiale delle vittime del Covid; non chi aveva malattie croniche pregresse. Questione di punti di vista, anzi di parametri. Secondo diversi studi, senza una rapida espansione della campagna vaccinale, la Cina potrebbe infatti fronteggiare oltre un milione di morti entro la fine del 2023.
I vaccini, ecco il vero problema. Mentre il 90% della popolazione è stata completamente immunizzata, meno della metà degli over 80 – gli individui più fragili – ha ricevuto la terza dose necessaria a contrastare la variante Omicron. Perdipiù i sieri cinesi hanno un livello di efficacia circa il 30% inferiore rispetto al Pfizer, che le autorità sanitarie locali non hanno mai approvato per uso interno. Risultato: gli scaffali delle farmacie sono vuoti. La gente si trova costretta a ricorrere al mercato nero per acquistare Paxlovid, il farmaco antivirale prodotto da Pfizer. Taiwan sta pensando di limitare le vendite all’ingrosso di Panadol dopo un picco di spedizioni verso la Cina. Chi non trova di meglio ripiega su rimedi naturali per rafforzare le difese immunitarie. Oltre alla medicina tradizionale, limoni e pesche sciroppate sono andate a ruba. “Grande è la confusione sotto il Cielo”. L’impressione è che Pechino non avesse ancora pronto un piano di uscita. Nonostante un primo tentativo di allentamento delle misure a metà novembre, la vera spinta l’hanno data un paio di settimane dopo le proteste contro la Zero Covid che tra il 27 e il 28 novembre hanno travolto diverse città del paese. Complice il rallentamento dell’economia nazionale e un tasso di disoccupazione giovanile sopra il 17%. Ma la rapidità della riapertura ha sconvolto anche chi auspicava un ritorno alla normalità.
In varie località il personale statale con sintomi lievi è stato invitato a recarsi al lavoro anche se positivo per non compromettere il regolare svolgimento delle attività. Nel frattempo, si cerca di potenziare le strutture sanitarie: la provincia dello Henan ha annunciato di voler più che raddoppiare il numero di unità di terapia intensiva nonché aumentare di quasi dieci volte il numero di medici e infermieri.
È una corsa contro il tempo. L’Oms si è detta “molto preoccupata” e chiede “dati più precisi per poter valutare il rischio” oltre a un’accelerazione della campagna vaccinale. Da quando è finita la Zero Covid, l’organizzazione ha dichiarato di non aver più ricevuto informazioni sui ricoveri. “La Cina sta nascondendo dati vitali per comprendere il pieno impatto della decisione di porre fine alla sua strategia”, ha commentato ai microfoni della Reuters Lawrence Gostin, docente di Diritto alla Georgetown University. Intanto, tra le voci di una possibile sospensione della quarantena in hotel per gli arrivi internazionali, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie ha istituito una rete di raccolta dati interprovinciale per monitorare lo sviluppo di nuove varianti. Come spiegato al Global Times da Li Tongzeng, medico dell’ospedale Xiaotangshan di Pechino, BF.7 – la sottovariante più diffusa in Cina – “ha una maggiore capacità di fuga immunitaria, un periodo di incubazione più breve e una velocità di trasmissione più rapida”.