Regole folli

Caccia ai cinghiali nelle aree urbane, una triste storia italiana

Il pasticcio - Con la nuova legge, sostenuta da armieri, agricoltori e cacciatori, sarà possibile sparare in tutte le tipologie di aree, incluse quelle protette e urbane, e in ogni periodo dell'anno, compresi quelli della riproduzione della fauna. Ma la norma cozza con quelle nazionali ed europee

Di Danilo Selvaggi (direttore generale Lega Italiana Protezione Uccelli)
27 Dicembre 2022

Con un’azione del tutto impropria, governo e maggioranza stanno approvando, nella Legge di Bilancio, una modifica alle procedure del cosiddetto controllo faunistico (cioè il contenimento degli animali selvatici “problematici”). Una materia di primo piano della legge sulla tutela della fauna che però, evidentemente, con il bilancio dello Stato nulla a che fare. Eppure, l’emendamento Foti è stato considerato ammissibile, con un grave strappo regolamentare che non può passare inosservato. Ma oltre a questo serio problema formale, c’è la questione di sostanza. Cosa prevede la nuova norma? Partendo dal dichiarato problema del sovraffollamento dei cinghiali, il testo modifica l’articolo 19 dell’attuale legge (157/92), eliminando la valutazione prioritaria dei metodi non cruenti nella gestione della fauna (si passa direttamente agli abbattimenti), assegnando ai cacciatori la priorità delle attività da svolgere e aprendo alla “caccia di controllo” ogni possibilità spazio-temporale. Sarà così possibile cacciare in tutte le tipologie di aree, incluse quelle protette e urbane, e in ogni periodo dell’anno, compresi quelli della riproduzione della fauna. Non solo: pur a fronte delle dichiarazioni che l’oggetto della norma sono i cinghiali, il testo non cita alcuna specie né opera alcun distinguo, omettendo anche ogni riferimento alle direttive comunitarie che regolano la materia (la “Uccelli” e la “Habitat”) e ai relativi regimi di speciale protezione previsti per molte specie.

Cosa accadrà dunque se l’oggetto del controllo dovessero diventare lupi, orsi e uccelli (tre tipologie specialmente protette dalle direttive)? Sarà questa la norma utilizzata, nonostante la sua inadeguatezza? Si parte dai cinghiali, ma poi? E tuttavia i cinghiali, anzi i cinghialai, sono il vero volto, inconfessabile, di questa norma, sostenuta da armieri e organizzazioni agricole ma fortemente caldeggiata dagli amanti della caccia al cinghiale. La domanda da porsi è: come è ipotizzabile affidare ai cinghialai la soluzione del problema dei cinghiali? Come si può pensare che i cinghialai abbiano interesse a diminuire la presenza dei cinghiali in Italia? Il vero interesse delle squadre di cinghialai (e del loro intoccabile business) è che di cinghiali ce ne siano sempre più. E che magari, oltre alle zone classiche di caccia, possano vedersi aprire nuove aree in cui operare in tranquillità. Ad esempio le aree protette. Esattamente ciò che consentirà la nuova norma, oltre ad eliminare il riferimento alla “selettività” degli interventi e dunque ad ammettere la pessima pratica della “braccata”.

Governo e maggioranza stanno insomma affidando la soluzione del problema a chi ha creato gran parte del problema. Anche per questo, la nuova norma porterà benefici quasi zero al contenimento dei cinghiali ma in compenso avrà molti effetti collaterali: danni alla biodiversità, più rischi per l’incolumità delle persone e caos gestionale, con l’alta probabilità di nuovi contenziosi con l’Europa, sul cui fronte (ad esempio la caccia in deroga) l’Italia ha subito molte procedure di infrazione e una condanna dalla Corte di Giustizia.

C’è infine la questione del “Piano straordinario”, previsto dall’emendamento Foti. Questo stabilisce che il ministero dell’Ambiente (di concerto con l’Agricoltura) emani un decreto con un piano quinquennale straordinario di controllo della fauna, che le regioni dovranno attuare. Nella redazione del decreto, il ministro dell’Ambiente non potrà però ignorare lo status di protezione delle specie, le direttive Uccelli e Habitat, la tutela dei periodi biologicamente più delicati, la biodiversità delle aree protette. Il ministro Pichetto Fratin si troverà dunque tra il martello dell’emendamento Foti, i cui confini sono larghissimi, e l’incudine delle normative nazionali e comunitarie, con le loro giuste strettoie, con cui dovrà non fare i conti. Sarà interessante capire come la matassa sarà sbrogliata. Certo è che dietro questa triste storia italiana c’è una cultura ormai impresentabile. Figlia di una visione povera della natura, ignara delle sue caratteristiche ed esigenze, ignara delle strategie internazionali sulla biodiversità e dei progetti globali di protezione e ripristino. Ignara, in sostanza, di cosa sia e cosa chieda il Pianeta Terra nel ventunesimo secolo. Non fucili ma modi diversi di convivenza.

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