Il 6 dicembre è stato l’ultimo giorno per gli armatori italiani per presentare la richiesta di ammissione a ingenti finanziamenti, del valore complessivo di 500 milioni di euro, per assicurare migliori performance ambientali e un significativo abbattimento delle emissioni delle navi, anche nei porti. È quindi evidente l’enorme potenziale del Decreto del ministero dei Trasporti n. 290 del 21 settembre 2022, che incentiva l’acquisto di nuove navi o l’ammodernamento di quelle esistenti o in costruzione, con l’obiettivo di favorire la transizione ecologica della flotta.
Cittadini per l’Aria, assieme alle tante associazioni e comitati che fanno parte della rete “Facciamo respirare il Mediterraneo”, attivi nei porti italiani e impegnati per il miglioramento della qualità dell’aria nella aree costiere, pur dando il benvenuto a questo provvedimento rileva che, purtroppo, non sia sufficientemente focalizzato sulla maggiore criticità che riguarda oggi le città portuali italiane: l’inquinamento atmosferico.
In particolare, i criteri di valutazione dei progetti non evidenziano sufficientemente la priorità di rendere respirabile l’aria nelle aree portuali, le cui popolazioni subiscono oggi dalle emissioni navali gravissimi e irreparabili danni alla salute. In questo senso, le associazioni invitano il governo a far sì che nella creazione della graduatoria per l’assegnazione dei contributi si punti innanzitutto a ridurre drasticamente e nel più breve termine possibile le emissioni inquinanti derivanti dalle navi che attraccano nei porti.
Le associazioni evidenziano in particolare come moltissime navi che oggi rimangono a motori accesi nei porti abbiano, spesso per la loro risalente età e tecnologia, emissioni elevatissime e nocive. Obiettivo del Decreto sia dunque, innanzitutto, quello di far sì che questi fumi scompaiano per sempre dalle nostre città di porto. A queste “carrette del mare”, i cui armatori decidano oggi di non investire, non sia più consentito di accedere ai nostri porti.
Si premino invece gli armatori che, con analisi accurate dell’impatto delle misure adottate, scelgono delle imbarcazioni che consentano di ridurre al massimo o eliminare l’utilizzo dell’olio combustibile pesante (HFO), adottando le ulteriori misure volte a ridurre l’inquinamento derivante dall’uso del marine diesel oil (MDO) come catalizzatori e sistemi di filtraggio dei fumi, evitando così di ricorrere agli scrubber che trasferiscono l’inquinamento dall’aria all’ambiente marino. Vanno privilegiati infine tutti coloro che scelgono ogni forma di efficientamento energetico che consenta di ridurre l’uso dei combustibili fossili, soprattutto nei porti.
Riguardo all’obiettivo climatico che il Decreto si pone, le associazioni rilevano la mancanza di una visione a 360°, contemplando unicamente l’abbattimento della CO2 e mancando di affrontare altresì altre sostanze come black carbon (BC) e metano (CH4) il cui impatto è, sul breve termine, notoriamente peggiore rispetto a quello della CO2.
Le associazioni mettono poi in guardia su alcune soluzioni notoriamente controverse proposte nel Decreto che non rappresentano uno strumento efficace per una vera transizione ecologica del settore ma che, con particolare riferimento al GNL (gas naturale liquefatto) e ai biocarburanti (BioGNL e Biodiesel), rischiano di peggiorare l’impatto climatico dell’industria navale sotto la bandiera di una pretesa decarbonizzazione.
Un accento particolare va posto sul GNL, il gas naturale liquefatto costituito in gran parte da metano con un potenziale di riscaldamento climatico di 82,5 volte maggiore a quello della CO2. Questo decreto rischia di far sì che gli investimenti oggi realizzati per l’uso di questo carburante determinino un effetto lock-in che ostacolerà per decenni lo sviluppo di nuove tecnologie a supporto di un’industria navale veramente pulita e in linea con l’obiettivo 1,5°C fissato dalla COP21 di Parigi.
Deve essere rivolta anche particolare cautela ai biocarburanti che non rappresentano una soluzione sostenibile in quanto, soprattutto quelli derivanti dagli scarti, non sono scalabili ovvero sono insufficienti a coprire il fabbisogno anche parziale di questa industria, essendo inoltre estremamente difficile l’identificazione della provenienza delle materie prime utilizzate per la loro produzione. Materie prime spesso derivanti dalla conversione della destinazione d’uso di terreni precedentemente destinati alla produzione di alimenti o mangimi, o addirittura deforestazione. È la stessa Commissione europea ad aver dichiarato che “è opportuno evitare la creazione di una domanda potenzialmente elevata di biocarburanti […] poiché tutti i tipi di combustibili ottenuti da colture alimentari e foraggere causano emissioni aggiuntive di gas a effetto serra e perdita di biodiversità”. Oltre a ciò, diverse ricerche hanno evidenziato che l’impiego di Biodiesel determina un aumento delle emissioni di ossidi di azoto (NOx), che contribuisce anche alla formazione di PM2.5 e ozono (O3) e al verificarsi di fenomeni di eutrofizzazione e acidificazione.
Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’Aria: “Alla vigilia dell’auspicata adozione dell’Area SECA, i cittadini delle città portuali chiedono a chi governa impegno per migliorare subito l’aria nei porti, ciò che può essere fatto con i finanziamenti del PNRR solo se usati con sapienza. Come corollario di questo decreto sarà fondamentale che il governo attivi l’incremento dei controlli sulle emissioni navali anche ai camini delle imbarcazioni, monitoraggi dell’aria nei porti, che gli armatori abbandonino l’olio combustibile pesante come carburante, e che il Decreto divenga strumentale all’attivazione di limiti d’accesso alle navi più inquinanti nei nostri porti ”.