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I camici sono bianchi, le cliniche sono bianche, i colletti sono bianchi: se anche la mafia è bianca come faccio a vederla? Si chiudeva così una fortunata inchiesta televisiva (La mafia è bianca) che nel 2005 raccontava il legame perverso tra il mondo della sanità siciliana e quello di Cosa Nostra. Un sistema che lambiva la cerchia di potere vicina all’allora governatore Salvatore Cuffaro e arrivava ad agevolare la latitanza di Bernardo Provenzano. Diciotto anni dopo, il mondo dei camici bianchi ha favorito anche Matteo Messina Denaro? È questa una delle domande che si pongono i magistrati della Procura di Palermo, guidati dal capo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, insieme ai carabinieri del Ros del colonnello Lucio Arcidiacono, l’uomo che ha fisicamente fermato il boss di Castelvetrano davanti alla clinica La Maddalena. Fino a questo momento gli investigatori hanno escluso eventuali contestazioni al personale o ai vertici della struttura di Palermo. Diversa, invece, la situazione in provincia di Trapani: l’impressione è che gli inquirenti stiano seguendo una vera e propria “pista medica” nel territorio dell’ultimo boss delle stragi.
D’altra parte a tradire una latitanza lunga trent’anni è stata la sua malattia, il tumore. Adesso, per individuare eventuali complicità, gli uomini del Ros hanno cominciato a seguire il percorso clinico di Messina Denaro, anzi di Andrea Bonafede, cioè l’identità usata dal boss negli ultimi anni di latitanza. Il punto di partenza è rappresentato dai medici che lo hanno assistito. Oltre alla clinica palermitana, infatti, nelle ultime ore i carabinieri hanno acquisito materiale (le cartelle del paziente e registri delle attività nelle sale operatorie) in almeno due ospedali: il primo è l’Abele Ajello di Mazara del Vallo, dove Messina Denaro è stato operato il 13 novembre 2020, dunque in piena pandemia, per un adenocarcinoma del colon. Ma gli uomini del Ros sono entrati anche nell’ospedale di Trapani, nel reparto di Oncologia. Nel capoluogo di provincia, Bonafede si è sottoposto a una Pet, un esame che serve per lo studio della patologie neoplastiche, come quella di Messina Denaro. Per una Pet, però, non occorre un ricovero. Secondo quello che risulta al Fatto, invece, a Trapani Bonafede è stato ricoverato in passato per almeno un mese: era Messina Denaro o era il vero geometra di Campobello che gli ha “prestato” l’identità. È per chiarire questo dubbio che gli investigatori hanno perquisito il dottor Filippo Zerilli, responsabile dell’Oncologia Medica, indagato per procurata inosservanza di pena aggravata. Il Fatto ha cercato di contattare Zerilli, ma dall’ospedale di Trapani hanno fatto sapere che il medico si trova in malattia.
Indagato per lo stesso reato è pure Alfonso Tumbarello, medico di base di Campobello di Mazara, che aveva in cura il vero Andrea Bonafede. Si tratta di un dottore con la passione per la politica: ex consigliere provinciale, nel 2006 si era candidato alle Regionali con l’Udc per sostenere l’allora governatore Cuffaro, già all’epoca imputato con l’accusa di favoreggiamento a Cosa Nostra. Cuffaro batterà Rita Borsellino e sarà rieletto governatore, ma poi si dimetterà dopo la condanna in Appello a 7 anni. Tumbarello, invece, fallì l’elezione all’Assemblea regionale siciliana. Cinque anni dopo, nel 2011, ci ha riprovato, sempre col centrodestra: la sua candidatura a sindaco di Campobello col Pdl, però, è stata bocciata dai suoi concittadini, che gli preferirono Ciro Caravà, la cui amministrazione sarà poi sciolta per mafia. “Gli inquirenti accerteranno cosa c’entra il dottor Alfonso Tumbarello con Messina Denaro, ma è certo che non c’entra niente con me”, dice oggi Cuffaro, tornato a far politica con la sua Dc dopo aver scontato la sua condanna.
A parte il suo passato politico, gli inquirenti vogliono capire come abbia fatto Tumbarello a seguire per anni l’evoluzione della situazione clinica di Bonafede – farmaci, visite specialistiche, cure – senza accorgersi della sostituzione di persona con Messina Denaro. Intanto, i magistrati stanno cercando di ricavare alcune informazioni anche dagli interrogatori del vero Andrea Bonafede. Oltre a essere l’alias del boss, il geometra è pure il proprietario dell’immobile di via CB31, a Campobello di Mazara, il covo dove il latitante ha vissuto negli ultimi tempi, almeno dal giugno del 2022. “Conosco Messina Denaro fin da quando eravamo ragazzini. La casa in cui viveva l’ho comprata io con i suoi soldi”; ha spiegato ai magistrati l’uomo, nipote di Nardo Bonafede, boss del piccolo comune in provincia di Trapani e storico fedelissimo di don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo. Il geometra è indagato per associazione mafiosa: è considerato uno degli ultimi fiancheggiatori di Messina Denaro.
Dopo Bonafede, invece, gli investigatori procederanno all’interrogatorio di garanzia di Giovanni Luppino, l’uomo che ha accompagnato Messina Denaro nel suo ultimo giorno di libertà. Era Luppino a guidare la Fiat Bravo bianca che ha condotto lui e il boss alla clinica La Maddalena di Palermo. Solo omonimo del più famoso Francesco Luppino, killer detenuto dal settembre scorso, Giovanni Luppino era incensurato: commerciante di olive e agricoltore di mestiere, da ieri si trova nel carcere Pagliarelli di Palermo dopo essere stato arrestato insieme a Messina Denaro. Gli investigatori hanno sequestrato fino a ora più telefoni, tra quelli trovati agli arrestati e quelli rinvenuti nel covo di Campobello.
Si tratta sia di smartphone che di cellulari vecchio modello, di marca Nokia. Una traccia fondamentale dell’inchiesta è rappresentata dalle informazioni contenute nei cellulari.
Ma dalla perquisizione dell’autista di Messina Denaro, però, è emerso anche altro. Per esempio sono saltati fuori numerosi bigliettini, con appuntati svariati numeri di telefono: tra questi anche i contatti di vari medici della provincia, in certi casi anche di direttori sanitari di cliniche private. Le indagini, dunque, proseguono pure su questo fronte: gli uomini dell’Arma vogliono capire quanto fosse estesa la rete dei favoreggiatori che ha protetto l’ultimo boss delle stragi. Una pista seguita con attenzione è proprio questa che conduce agli ospedali frequentati dall’ormai ex latitante. D’altra parte, viene fatto notare in ambiente investigativo, Messina Denaro ha un legame di parentela con Giuseppe Guttadauro, boss di Brancaccio ed ex aiuto primario dell’ospedale Cervello di Palermo, uomo al centro dell’indagine sulle talpe alla Dda che portò poi alla condanna di Cuffaro. Il fratello di Guttadauro, Filippo, ha sposato Rosalia Messina Denaro, sorella dell’ex latitante. Dalla loro unione è nata Lorenza Guttadauro, legale che ha appena ha assunto la difesa dello zio. La mafia è bianca, ma quando ha bisogno di un avvocato preferisce rimanere in famiglia.