Lutzerath, villaggio di poco più di mille anime nel Land tedesco del Nord Reno-Westfalia, è assurto per alcuni giorni a simbolo della lotta per il clima e contro i combustibili fossili. Oltre 30 mila manifestanti si sono uniti contro l’espansione di una miniera di lignite, una delle peggiori varianti di carbone, autorizzata dal governo tedesco con il consenso anche del suo azionista ambientalista, i Grünen, tra l’altro al governo dello stesso Land in coalizione con la CDU. Trattasi di una scelta fatta per far avanzare la miniera di Garzweiler dove entro il 2030, anno in cui la coalizione semaforo ha fissato l’uscita dal carbone per la Germania occidentale, il colosso dell’energia RWE prevede di estrarre 280 milioni di tonnellate di lignite, contro i 25 milioni all’anno attuali. In questo modo sarebbe certo il venir meno agli impegni presi con l’Accordo di Parigi per restare sotto +1,5 °C di aumento della temperatura media globale.
Sul campo la militarizzazione delle risorse energetiche ha frustrato l’obiettivo dei movimenti ecologisti; sul piano simbolico e politico questi hanno invece segnato molti punti a loro favore. Animando un aspro conflitto sociale hanno restituito alla storia l’immagine di una massa eterogenea, fatta di giovani attivisti europei, famiglie con bambini, movimenti religiosi e gruppi più radicali legati alle autonomie, che in modo non violento è stato capace di opporsi alle scavatrici della RWE difese da un enorme cordone di poliziotti. Il prezzo pagato dal governo per non cedere alle istanze dei movimenti ecologisti è stato quello di doverne sgomberare con la forza gli attivisti inermi e dalla evidente parte della ragione.
Fridays For Future, Extinction Rebellion, Letzte Generation (il cugino tedesco dell’italiano Ultima Generazione), Ende Gelände, la stessa organizzazione giovanile dei Grünen (in contrasto col partito) e altri pezzi del movimento per il clima si sono uniti in una convergenza ecologista che ha ribadito quanto le mobilitazioni di massa siano centrali nella lotta per il clima. In una fase in cui dall’Inghilterra all’Italia negli ultimi mesi hanno preso piede forme di protesta non violenta ma isolata, condotte da piccoli gruppi di attivisti, la resistenza di Lutzerath ha dimostrato che l’ecologismo europeo è ancora capace, come nel biennio 2019-2020 e con le manifestazioni di Glasgow per Cop26, di chiamare a raccolta decine di migliaia di attivisti, militanti e comuni cittadini in una storica e simbolica mobilitazione. Per ribadire che accanto al sacrosanto imbrattamento dei simboli del potere resta complementare e indispensabile una nutrita partecipazione di massa.
“Radical simply means ‘grasping things at the root’” ci ricorda Angela Davis. Cosa c’è di più radicale che attaccarsi collettivamente ad una terra che non si vuole sia sventrata; a risorse che si sanno, da decenni, essere causa della crisi climatica e che si vuole quindi che restino sotto terra? Nell’ipocrisia di partiti verdi governisti, tanto inclini al compromesso da giustificare oggi la certa espansione di una miniera, contro la promessa di una più che dubbia anticipazione dell’uscita dal carbone domani o l’opportunistica contrattazione del minor numero di villaggi da distruggere con la RWE, in un piccolo villaggio condannato alla distruzione della Germania occidentale si risveglia una resistenza territoriale che potrebbe a catena diffondersi e riprodursi in tutta Europa. Le occasioni, anche in Italia, non mancano: basta solo, nell’unità di tutti i movimenti radicali per la giustizia sociale e climatica, saperne sfruttare il potenziale politico riducendo nell’armonia di una grande mobilitazione di massa le diverse pratiche di lotta.