In Italia – La depressione battezzata “Hannelore” da MétéoFrance – nomenclatura della federazione dei servizi meteo europei Eumetnet, mentre “Attila” è un’invenzione dei soliti siti italiani acchiappaclick – ha vagato per una settimana intorno alla penisola mantenendo un tempo variamente perturbato ma non così freddo, tanto che la neve, benché talora abbondante fino a quote di collina, non ha raggiunto pianure e coste. Domenica 22 gennaio il vortice ha toccato i litorali romagnoli con venti fino a 114 km/h e mareggiate, e una nevicata ha lievemente imbiancato Ragusa ispirando l’ironia negazionista del senatore Malan, ignaro del fatto che là, a quota 500 metri, anche in tempi di riscaldamento atmosferico il fenomeno è meno raro di quanto si pensi (2012, 2015, 2017, 2019, 2020). Ben più copiosi i fiocchi in varie zone appenniniche, comunque avvezze ai “nevoni”: lunedì in poche ore è caduto un metro di neve ai 600 metri di Pennabili, al confine tra Romagna e Marche, mentre il fiume Misa a Senigallia era di nuovo in piena, quattro mesi dopo l’alluvione del 15 settembre scorso. Più inconsueti gli 80 cm di manto nevoso a 1.200 metri sul Gennargentu. Martedì 24 anche le montagne torinesi e cuneesi si sono finalmente svegliate sotto 40-60 cm di neve fresca. Ma nell’insieme del Piemonte, rimasto spesso all’asciutto sottovento all’arco alpino, la siccità non è sconfitta: dopo il record minimo di precipitazioni del 2022, anche gennaio 2023 ha ricevuto solo metà dell’apporto idrico normale. Valanghe sulle Alpi orientali, vittime due sci-alpinisti in Val Pusteria e sul Lagorai, inoltre massicce grandinate mercoledì sera nel Catanese. Tuttavia le temperature minime negli ultimi giorni sono scese solo a pochi gradi sotto zero nelle zone interne, -2,4 °C ad Arezzo e -3,7 °C a Milano-Malpensa. Dunque niente “sciabolata artica”, “gennaio di ghiaccio” e così via: solamente un po’ di ordinario inverno, a cui siamo sempre meno abituati.
Nel mondo – Con diversi giorni di ritardo è trapelato il drammatico bilancio dell’ondata di freddo di metà gennaio in Afghanistan, dove – con il concorso della crisi economica e umanitaria già in atto per colpa del regime talebano – sono morte oltre 150 persone e 70 mila capi di bestiame mentre i termometri scendevano a -28 °C nel Nord. Il grande gelo di una settimana fa in Cina nord-orientale si è spostato in Giappone innescando intense bufere di neve (mezzo metro in 12 ore sui monti al centro del Paese) dopo il passaggio dell’aria siberiana sopra al mare. Al contrario, L’Avana (Cuba) ha registrato 33,0 °C, nuovo record per gennaio, a New York non era mai accaduto, dall’inizio delle misure nel 1869, di arrivare a questo punto dell’inverno senza aver ancora visto una pur timida spruzzata di neve, e nel mondo questo primo mese del 2023 si sta per chiudere con circa 0,4 °C sopra media (ma anche oltre 5 °C di troppo su gran parte del Nord America e in Europa orientale!). Alluvioni in Malesia, Filippine (qui 38 vittime da inizio gennaio) e Nuova Zelanda, dove Aukland ha registrato in sole 18 ore la pioggia che dovrebbe cadere in tutta l’estate australe (261 mm). Oltre alla minaccia nucleare, alla disinformazione guidata dagli Stati, all’impiego di tecnologie distruttive e al rischio di nuove pandemie, anche i cambiamenti climatici – tra eventi estremi, ulteriore incremento delle emissioni serra e dissennata ricerca di alternative fossili al gas russo – rimangono tra le principali ragioni per cui il comitato del Bulletin of the Atomic Scientists ha ulteriormente spostato in avanti, ad appena 90 secondi dalla mezzanotte, il simbolico “orologio dell’apocalisse”. Non siamo mai stati tanto vicini all’autodistruzione, ma ancora più inaccettabile è il fatto che rischiamo di trascinare con noi nell’abisso anche gran parte degli altri esseri viventi.