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ZELENSKY A BRUXELLES ACCELERA SU JET E INGRESSO NELL’UE, MA GLI ALLEATI NON LO SEGUONO. Bruxelles ha riservato a Volodymyr Zelensky un’accoglienza calorosa. Da Parigi, dove ieri sera ha incontrato Emmanuel Macron e Olaf Sholz, il leader ucraino stamattina è arrivato nella capitale belga per incontrare i vertici delle istituzioni europee. Ha cominciato dal Parlamento e la sua presidente Roberta Metsola, ha continuato con il Consiglio straordinario, dove erano riuniti i leader dei 27 Stati membri. “Benvenuto a casa, benvenuto nell’Ue”, gli ha detto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Per l’occasione, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha svelato in anticipo i contenuti del prossimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, che riguarderà l’estensione della black list degli individui a cui vengono congelati i beni e nuovi blocchi alle esportazioni per un valore di 10 miliardi di euro. Metsola, invece ha pubblicamente sostenuto l’invio di caccia militari a Kiev. Tanto che il capo dell’ufficio di presidenza ucraino Andrey Yermak ha scritto su Telegram: “La questione della fornitura di armi a lungo raggio e jet militari all’Ucraina è stata risolta”. Tuttavia, come vedremo sul Fatto di domani, la realtà è diversa dalle dichiarazioni e restano irrisolti i problemi di disponibilità, addestramento, difformità e numero delle forniture. Zelensky stesso, parlando in conferenza stampa, ha assicurato che sono stati fatti passi concreti in questa direzione, ma poi ha detto di “non poter svelare” le decisioni prese nei summit di Londra e Parigi e ha riconosciuto che “per arrivare a ottenere questi jet da combattimento il percorso è lungo”. Londra, per esempio, il giorno dopo la visita di Zelensky ha già fatto un passo indietro: il portavoce del premier Sunak ha chiarito che non è stata presa nessuna decisione, perché bisogna valutare i rischi di escalation e per la sicurezza del Regno. L’invio dei Typhoon richiederebbe l’autorizzazione di Italia, Spagna e Germania, mentre per gli F-35 sarebbe necessario il consenso degli Stati Uniti. L’altro obiettivo del presidente ucraino rispetto alle istituzioni europee era chiedere una corsia preferenziale per l’ingresso in Ue, che permetta di accelerare i tempi e, forse, di allentare le maglie di valutazioni su standard come l’ordinamento giudiziario e la corruzione. Vedremo sul giornale di domani che anche su questo fronte le sue richieste sono lontane dall’essere esaudite.
MELONI VITTIMA DELLA SUA RETORICA: LA VERITÀ SULL’ASSE FRANCO-TEDESCO (CHE ESCLUSE ANCHE DRAGHI). Seguendo un copione abituale, appena arrivata a Bruxelles la premier italiana se la prende con Francia e Germania per aver escluso Roma dall’incontro con Zelensky di ieri. Giorgia Meloni ha definito “inopportuno” l’invito a Parigi del presidente ucraino. Parole a cui ha replicato il presidente francese, sicuro non solo sulla legittimità, ma anche sull’utilità dell’iniziativa franco-tedesca: “La Germania e la Francia hanno un ruolo particolare da otto anni su questa questione”, ha detto Macron, aggiungendo poi che la scelta degli incontri diplomatici dipende anche dal leader di Kiev. Dopo la conferenza stampa, è cominciata la girandola di incontri con i 27 leader Ue, ma alla fine, causa ritardi nell’agenda, i bilaterali sono stati accorpati e sono diventati “di gruppo”. Per Meloni è venuto meno anche il faccia a faccia con Zelensky su cui puntava per affermare il suo peso nel dossier ucraino. Sul Fatto di domani vedremo però che l’isolamento lamentato dalla premier italiana è tutt’altro che una novità per l’Italia, e non dipende dal colore politico del governo, come vorrebbero i media mainstream che vagheggiano di una centralità dell’Italia con Mario Draghi premier. Vedremo invece che l’asse franco-tedesco si muove in autonomia dal resto d’Europa da almeno un ventennio con un’agenda tutta sua. Oltre alla questione ucraina, sul tavolo del Consiglio europeo straordinario c’è anche la questione del piano industriale verde di risposta all’Inflation Reduction Act americano. Si parla di sussidi e debito comune. La Germania, ancora lei, e gli altri Paesi del nord sostengono l’allentamento temporaneo dei vincoli agli aiuti di Stato, ma hanno già bocciato l’idea italiana di creare un fondo di garanzia europeo per garantire equilibrio tra gli interventi nazionali. Il ministro dell’Economia Giorgetti ha già incassato il colpo, e in un’intervista oggi spiega che come compensazione l’Italia chiederà più elasticità sui tempi e i vincoli di spesa del Pnrr.
CASE GREEN ENTRO IL 2030, LA DIRETTIVA UE RISCHIA DI ESSERE UN SALASSO. In una giornata ricca di decisioni, è arrivato anche un primo segnale per la riduzione dei consumi delle abitazioni. Ma per l’Italia (e non solo) potrebbe essere un salasso. La Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo ha dato oggi il via libera al nuovo testo della direttiva Ue per le case a risparmio energetico, sollevando l’ira di Fratelli d’Italia e della Lega. Il progetto prevede che entro il 2030 le abitazioni ottengano il bollino energetico di classe E, per arrivare alla D nel 2033 e alle emissioni zero nel 2050. Problema: secondo le stime Enea il 74% delle abitazioni italiane – 11 milioni – sarebbero in classe energetica inferiore alla “D”. Dunque, in media, oltre un milione di case all’anno dovrebbero tagliare il traguardo dell’efficientamento energetico. Obiettivo arduo, considerando che il superbonus edilizio ha riguardato circa 290.000 unità abitative l’anno. Oltretutto, i lavori saranno a carico delle famiglie, a meno di non varare altri sussidi statali o comunitari analoghi al Superbonus (che il governo Draghi e poi Meloni hanno tagliato). Non ci saranno sanzioni, però. Dal provvedimento europeo è sparito il divieto di vendita e affitto per le case che non si adeguano allo standard. Ma il centrodestra è sulle barricate e bolla la direttiva come una “patrimoniale camuffata”. Peccato che il ministro Pichetto Fratin avesse dato il consenso al provvedimento già al Consiglio europeo del 25 ottobre 2022. Sul Fatto di domani entreremo nei dettagli della norma e approfondiremo le conseguenze per l’Italia. Il prossimo step dell’iter legislativo sarà il voto dell’Assemblea plenaria a marzo e da quel momento partirà il trilogo: il negoziato tra Parlamento, Commissione e Consiglio per arrivare alla versione finale.
ARCHIVIATO FEDEZ, SANREMO PASSA A UN’ALTRA POLEMICA: “L’ITALIA È UN PAESE RAZZISTA”. “L’Italia è un paese razzista? Sì. Il che non vuol dire che lo siano tutti. Sta migliorando, sicuramente. Non voglio fare la vittima, ma solo dire come stanno le cose”. Salvini chiama, Paola Egonu risponde. La pallavolista sarà questa sera al fianco di Amadeus e Morandi sul palco dell’Ariston, ma stamane non ha risparmiato una stoccata al ministro che ieri l’aveva tirata in ballo. Mentre quindi la Rai festeggia per gli ottimi ascolti della seconda serata del Festival (10.545.000 spettatori con uno share del 62.3%, ma abbiamo visto sul giornale come i dati siano falsi), continuano a tenere banco anche le polemiche. Ieri sera, oltre al monologo di Francesca Fagnani, abbiamo assistito alla performance di Fedez, che se l’è presa con il viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami (assumendosene le responsabilità, ovviamente). In questo caso, Salvini ha fatto il vago, limitandosi a postare una sua foto al ministero. Il direttore dell’Intrattenimento Rai, Stefano Coletta, si è invece dissociato dall’intervento del cantante, che non era stato comunicato in anticipo, mentre Amadeus – ormai calato nella parte del direttore artistico permissivo e magnanimo, leggi Blanco – ha ribadito l’importanza della libertà di espressione. Sul giornale di domani continueremo a seguire il Festival – e le polemiche – con i nostri inviati all’Ariston. Stasera c’è grande attesa per la presenza dei Maneskin.
LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE
Terremoto in Turchia e Siria, peggiora ancora il bilancio. Le vittime del devastante sisma che ha colpito Siria e Turchia continuano ad aumentare e raggiungono l’impressionante numero di 17.500. Il primo convoglio di aiuti delle Nazioni Unite ha raggiunto le aree controllate dai ribelli in Siria.
Corte dei Conti contro il governo sull’abuso d’ufficio. Guido Carlino – presidente dei giudici contabili – ha lanciato l’allarme sulle responsabilità penali dei danni alle casse pubbliche: indebolire le norme (come l’abuso d’ufficio) rischierebbe di aumentare gli sprechi creando un “clima favorevole per l’infiltrazione della criminalità organizzata”. Una linea opposta a quella del governo e di molti sindaci, che da tempo lamentano la “paura della firma” invocando l’allentamento delle leggi sul danno erariale.
Cospito resta al 41 bis, Nordio respinge il ricorso. L’anarchico in sciopero della fame da oltre 100 giorni al penitenziario di Opera deve restare nel carcere duro. Lo ha stabilito il ministro della Giustizia Carlo Nordio, respingendo l’istanza di revoca avanzata dall’avvocato difensore, che ha annunciato un ricorso. Il 41 bis era stato disposto il 4 maggio dell’anno scorso dall’allora Guardasigilli Marta Cartabia per quattro anni.
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