Non c’è un cinema, i ristoranti si contano sulle dita di una mano. Però ci sono due logge massoniche. E in passato erano almeno tre. È una strana statistica quella di Campobello di Mazara, la cittadina che in queste settimane si è trasformata in una sorta di Twin Peaks in salsa siciliana. È qui, in questo comune della provincia trapanese con una passione per i cappucci e i grembiulini, che ha trovato protezione Matteo Messina Denaro. Una latitanza agevolata “dall’assordante silenzio dell’intera comunità” e da “diversi livelli di compiacenza omertosa, paura, addirittura complicità”, scrivono i pm della Procura di Palermo nella richiesta di arresto di Alfonso Tumbarello, il medico accusato di aver curato “consapevolmente” il boss delle stragi. Massone con un passato da politico dell’Udc, Tumbarello è stato sospeso dalla loggia “Valle di Cusa di Campobello”. È solo una delle due affiliate al Grande Oriente nel piccolo comune trapanese: l’altra si chiama “Domizio Torrigiani” ed è molto più antica. Le due logge hanno sede in una palazzina in via Rodi 61, alla periferia della città.
È qui, raccontano, che in passato è arrivato persino Stefano Bisi, il Gran Maestro del Goi. “Ci sono stato un paio di volte, quando donammo delle tende per i migranti che lavoravano alla raccolta delle olive”, dice Bisi, che nel 2016 divenne addirittura socio onorario della Valle di Cusa. “Ma questi sono titoli onorifici – avverte il numero uno del Goi – Ci tengono ad avere il gran maestro fratello onorario, così come è avvenuto in molte altre logge”. Però era proprio alla Valle di Cusa che era iscritto Tumbarello, il medico di Messina Denaro: Bisi lo ha mai conosciuto? “Magari c’era quando sono stato lì, ma se l’ho incontrato non lo posso sapere. Dopo la notizia dell’indagine, però, sono subito intervenuto per sospenderlo: di più cosa dovevo fare?”.
Due logge, 11 mila abitanti. Di sicuro c’è solo che il coinvolgimento del medico massone nelle indagini sui favoreggiatori di Messina Denaro ha contribuito ad accendere ancora una volta i riflettori sulle logge trapanesi. Alcuni esponenti della massoneria di altre parti d’Italia hanno contattato il Fatto per fare notare come, dal loro punto di vista, sia anomala la presenza di ben due logge in un comune di appena 11 mila abitanti. “Ci chiediamo quale sia il motivo per cui, in un paese così piccolo, esistessero addirittura due logge del Goi quando a Castelvetrano, paese più grande, esiste solo la Francisco Ferrer, idem per la ben più grande Mazara, ove è presente solo la Porta del Mediterraneo”, si legge sul Cavaliere nero, canale Telegram che raggruppa alcuni massoni “critici”. “Quello è un profilo anonimo, chi scrive queste cose dice una bischerata – replica Bisi – Io posso dirle che non è una cosa anomala. Intanto perché a Campobello i fratelli non arrivano neanche a 40, numeri simili ad altre città. E poi quella è una zona con un’antica tradizione massonica”.
Tumbarello e i grembiulini. Negli ultimi tempi a parlare della tradizione massonica di Campobello è stato Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro del Goi, che nei primi anni 90 si trovò a sospendere Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, arrestato con accuse di mafia. Vaccarino in seguito sarà assolto, ma il suo nome finirà più volte nelle vicende relative a Messina Denaro. Tra il 2004 e il 2006, su incarico del Sisde, iniziò una corrispondenza col superlatitante, firmandosi “Svetonio”. Nel 2012, durante un processo, racconterà di aver agganciato il boss grazie al fratello. “Sono stato io a chiedere al dottore Tumbarello di poter incontrare Salvatore Messina Denaro perché era suo assistito”, sono le parole di Vaccarino. Già dieci anni fa, dunque, il medico massone di Campobello era indicato come l’uomo giusto a cui rivolgersi per entrare in contatto coi Messina Denaro.
Problema noto da 30 anni. Che ci fosse un problema nelle logge di Campobello, Di Bernardo sostiene di saperlo da almeno trent’anni. “Quando andai in visita in Sicilia, i vertici regionali mi vollero parlare tra squadra e compasso, cioè confidenzialmente. Mi supplicarono di non accettare l’invito per visitare le logge di Campobello di Mazara, perché erano infiltrate dalla mafia”, racconta, spiegando poi di aver sottoposto la questione ai gran maestri americani ed europei. “Mi dissero: noi conosciamo questa situazione, fai tutto ciò che puoi o altrimenti si rischia uno scandalo più grande della P2”. “Il problema è che Di Bernardo è andato via dal Goi nel ‘93, ma queste cose le ha dette anni dopo. A scoppio ritardato”, replica Bisi, che ha annunciato una querela nei confronti dell’ex Gran Maestro.
I numeri dell’Antimafia. Pochi anni fa era stata la Commissione Antimafia di Rosi Bindi a indagare sulle presunte infiltrazioni delle organizzazioni mafiose nella massoneria. Nel 2016 un rapporto della Digos documenta nella provincia di Trapani l’iscrizione di circa 500 massoni in 19 logge, 6 delle quali solo a Castelvetrano. Nella città natale di Messina Denaro erano massoni 4 assessori su 5, 7 consiglieri su 30, più diversi dirigenti e dipendenti comunali. Numeri che per la prefettura erano “incompleti per difetto e, pertanto, non era possibile ottenere una descrizione d’insieme del fenomeno”. Per San Macuto “la presenza di logge nel Trapanese, in un numero che ora come in passato appare sproporzionato rispetto alle altre province siciliane e d’Italia” unita all’elevato “numero di iscritti, spesso provenienti dal mondo della borghesia” rende “possibile la creazione di veri e propri comitati di affari, dove è possibile cogliere opportunità di carriera, influenzare o determinare l’esito nelle consultazioni politiche, scambiarsi favori per il reciproco vantaggio”. Va sottolineato che il lavoro dell’Antimafia non si riferiva solo al Grande Oriente d’Italia, ma anche ad altre obbedienze, che sono molto numerose. È dentro al Goi, però, che negli ultimi anni si sono verificate frizioni su questo tema. Nel 2019, alcuni iscritti alla loggia “Giordano Bruno” di Termini Imerese hanno annunciato di voler abbandonare il Grande Oriente, dopo l’arresto di Lucio Lutri, ex maestro venerabile della loggia “Pensiero e Azione” di Palermo, e di Vito Lauria, al vertice della “Arnaldo da Brescia” di Licata, figlio di Giovanni, considerato il boss del paese. Da Termini avevano chiesto lo scioglimento della loggia di Licata, ma dal Goi era arrivato un rifiuto: “Non aveva senso sciogliere tutta la loggia, abbiamo subito sospeso gli indagati”, dice Bisi. L’estate scorsa sia Lutri che Lauria sono stati condannati in appello a otto anni di carcere per concorso esterno.