I reporter Alfredo Bosco e Andrea Sceresini, inviati in Ucraina, hanno avuto l’accredito sospeso dai servizi di sicurezza di Kiev. Sono loro stessi a raccontarlo in una lettera
Il 6 febbraio mentre eravamo di ritorno dal fronte di Bakhmut, dove abbiamo realizzato un reportage per Rai3, il ministero della Difesa ucraino ci ha notificato la sospensione degli accrediti giornalistici che ci erano stati rilasciati nel marzo 2022; ciò comporta l’impossibilità di muoversi liberamente nel Paese, specie nelle zone vicino al fronte, e il rischio concreto di essere arrestati al primo posto di blocco. Di fatto, questo provvedimento ci ha messo nella totale impossibilità di lavorare e ha posto seriamente a rischio la nostra incolumità. Nessuno ci ha comunicato le ragioni del provvedimento. Tuttavia, le voci che si sono sparse tra i fixer ucraini che lavorano nel Donbass – e di cui abbiamo prova scritta – ci indicano come “collaboratori del nemico”, un’accusa che in zona di guerra può avere conseguenze molto serie.
L’unica notizia ufficiale che ci è giunta, nonostante i molti solleciti effettuati anche tramite la nostra ambasciata, riguarda un ipotetico “interrogatorio” al quale dovremmo sottoporci, e che dovrebbe essere eseguito dagli uomini dell’Sbu, il servizio di sicurezza ucraino. Inizialmente questo “interrogatorio” avrebbe dovuto svolgersi a Kramatorsk, dove ci trovavamo il 6 febbraio: abbiamo subito fornito all’Sbu i nostri numeri di telefono e il nostro indirizzo, chiedendo che il colloquio potesse avere luogo il prima possibile. Dopo cinque giorni di inutile attesa (trascorsi barricati in casa, in una città peraltro spesso bombardata dalle artiglierie russe), abbiamo deciso – dietro consiglio dell’ambasciata – di spostarci a Kiev, dove hanno sede gli uffici centrali dell’Sbu: l’“interrogatorio”, ci è stato detto, non si sarebbe più svolto a Kramatorsk, ma nella Capitale. Da allora nulla più è successo. Nessuna notizia dall’Sbu, che abbiamo anche fatto contattare – inutilmente – da un avvocato ucraino; nessuna notizia dalla nostra ambasciata, né dalla Farnesina. Il 14 febbraio a un altro nostro collega, Salvatore Garzillo, pure lui con alle spalle molti mesi di esperienza in Ucraina, è stato addirittura impedito di entrare nel Paese attraverso la frontiera polacca, in quanto “non gradito”. Un’esperienza simile era toccata, a febbraio e aprile 2022, anche a Lorenzo Giroffi, che oggi lavora per la Rai. Il sospetto – sulla base anche delle voci che sono circolate tra i fixer – è che alla radice di questi provvedimenti vi sia la nostra esperienza di lavoro giornalistico nelle repubbliche separatiste che, come centinaia di altri colleghi, abbiamo visitato più volte a partire dal 2014. I nostri servizi dell’epoca riguardavano, tra le altre cose, il business delle miniere illegali gestite dai leader filorussi, la presenza in loco di volontari di estrema destra, anche italiani, e le faide interne ai governi delle repubbliche non riconosciute di Donetsk e Lugansk. Parallelamente – avendo peraltro ottenuto un apposito tesserino dell’Sbu – in quegli anni abbiamo ovviamente visitato il fronte anche sul lato ucraino, nella convinzione che quel conflitto, all’epoca dimenticato, andasse raccontato a tuttotondo e nel modo più onesto possibile… Si tratterebbe, insomma, di una operazione di censura preventiva.