“Non leggo mai i giornali al mattino perché stampano solo quello che voglio io”.
Napoleone III
Al “Fatto”, il pavimento della stanza dove Marco Travaglio lavora è ricoperto da tanti tumuli cartacei amorevolmente avvolti in sobrie (e lapidarie) cartelline ciascuna delle quali contiene, sotto forma di ritagli, i preziosi resti del giornalismo italiano caduto sul fronte della propaganda bellica. Nell’addobbare questo maestoso memoriale votivo (le 457 pagine del ultimo libro “Scemi di guerra”) Marco si richiama alla lezione di Indro Montanelli e Arrigo Benedetti che negli anni dell’avventura coloniale di Benito Mussolini in Africa Orientale, al tempo entrambi giovani collaboratori di “Omnibus”, furono incaricati da Leo Longanesi di raccogliere tutti i dispacci della France-Presse, della britannica Reuters e dell’americana Associated Press dall’inizio della campagna d’Etiopia. Una raffica di annunci propagandistici su presunti rovesci italiani e inesistenti trionfi etiopici che, messi ordinatamente in fila in ordine cronologico, si concludevano con il lancio dell’Agenzia Stefani sull’avvenuto ingresso delle truppe italiane in Addis Abeba. Fu una guerra coloniale d’aggressione, proprio come quella scatenata un anno fa da Putin contro l’Ucraina ma, allora come oggi, sottoposta a una ridicola e controproducente manipolazione dei fatti. Perché gli Scemi di guerra non sono certamente gli inviati al fronte che rischiano e spesso perdono la vita per testimoniare l’orrore di una insensata carneficina e che meritano tutta la nostra ammirazione e riconoscenza. Qui si parla dei “bellicisti da diporto che fanno il presentat’arm sul sofa”, quelli che “prendono per oro colato e rilanciano le balle più ridicole, compilano liste di proscrizione, tentano di tappare la bocca a chi non la pensa come loro”. In questo circo popolato di pagliacci c’è un capitolo del libro dedicato all’ignominia mediatica scatenata da illustri testate contro tutti coloro che osavano dissentire dall’informazione unica sull’andamento del conflitto, uniformata alle veline Nato. A cominciare dallo “scoop” del “Corriere della Sera” (5 giugno) con le nove foto segnaletiche sotto il sensazionale titolone: “Influencer e opinionisti. Ecco i putiniani d’Italia”. Si chiede Marco: “In quale altro Paese un giornale fa da megafono e da buca delle lettere ai Servizi segreti per mettere alla gogna giornalisti, politici e intellettuali dissenzienti?”. Eppure, nessuno ha mai chiesto scusa. E che dire delle censure dei tg Rai agli appelli di Papa Francesco per una pace giusta? “Scemi di guerra” si legge come un accurato diario costellato da punti di domanda. Come quel 30 maggio in cui Zelensky ammette in un lampo di sincerità: “Non credo che potremo riprendere l’intero nostro territorio con l’esercito, meglio la diplomazia”. Proposito in seguito vanificato da qualcosa o da qualcuno più potente di lui. Confesso di essermi molto appassionato alla rubrica “Oroscopo del giorno”, tragico angolo del buonumore nel quale con beffardo sadismo l’autore segnala le chicche delle nostre firme indovine vaticinanti l’imminente tracollo economico e militare russo, le masse in rivolta contro il tiranno, a sua volta flagellato da un concentrato di morbi senza scampo. Si ride per non piangere.