l’inchiesta

Mancata prevenzione. La paura alla Salute: “Qui volano cetrioli, chiederanno i danni”

Covid - Le chat dei dirigenti del ministero. Prima del paziente 1. Ruocco: “Comprare dpi in tutta Italia? Mica ho le renne sotto casa”

5 Marzo 2023

Il virus stava ancora in Cina, in Italia l’avevano trovato a fine gennaio solo su una coppia di turisti di Wuhan in vacanza a Roma, anche perché non si faceva granché per cercarlo. “Non è che i contagiati (per non dire i parenti dei morti) chiederanno indennizzo per epidemia colposa?”, scriveva una dirigente non indagata all’allora Segretario generale del ministero della Salute, Giuseppe Ruocco, il più alto in grado della gerarchia, oggi coinvolto nell’inchiesta di Bergamo ma solo nel filone sulla zona rossa mancata. Colpisce la data: era il 19 febbraio 2020, il giorno dopo sarà accertato il primo positivo italiano, Mattia Maestri, a Codogno (Lodi) e in breve scopriremo che bastava fare i tamponi per vedere centinaia, poi migliaia di contagiati. La dirigente, che non ha nulla a che fare con la Prevenzione, sembrava aver già intuito che fino a quel momento si era fatto ben poco per fermare il virus cinese.

15 febbraio “Vogliono soldi per tutta la sanità italiana”

Ruocco però era concentrato su tutt’altro: “Sono impegnato – scriveva alla collega nella chat acquisita dalla Procura di Bergamo – a scansare un altro cetriolo volante. Anche le Regioni vogliono soldi da Prot Civile e devo evitare di essere nominato attuatore per tutto il Ssn”. Era preoccupato di non disporre spese difficili da giustificare, alla stessa dirigente l’aveva già scritto qualche giorno prima, il 15 febbraio: “Vogliono per forza farmi comprare prodotti sanitari per tutta l’Italia”. Voleva dire che sarebbe toccato alle Regioni, il che peraltro è anche vero nel nostro discutibile ordinamento. “Queste – insisteva Ruocco – sono tutte spese che poi la Corte andrà a rivedere… Volevano 150 medici, ne ho presi 77… Sono milioni… Poi c’è la parolina magica ‘altre spese strettamente connesse’ dove ognuno si infila… Ora, sono certo, il prossimo vagone del treno sarà per Spallanzani e Iss (strutture, personale, farmaci, attrezzature)… Furbacchioni, ieri ho detto a qualcuno che non ho le renne parcheggiate davanti casa”. Non era Babbo Natale, insomma.

Nell’informativa della Guardia di Finanza della Procura di Bergamo colpisce anche leggere che lo stesso Ruocco, il 28 gennaio e cioè tre giorni prima che l’Italia dichiarasse il formale stato d’emergenza, aveva chiesto a una funzionaria “di effettuare, in maniera riservata e ESCLUSIVAMENTE PRECAUZIONALE, una ricognizione della disponibilità di guanti, mascherine, tute, sovrascarpe e altri DPI e DM (rispettivamente) presenti sul territorio italiano o reperibili”. Allora forse ce n’erano, ma in poche settimane il virus travolgerà la Lombardia e gran parte del Nord Italia, i prezzi saliranno alle stelle e i medici e gli infermieri negli ospedali tenteranno di coprirsi anche con pezzi di stoffa, sacchetti di plastica e qualunque altra cosa. Infatti la Finanza annota: “Non si comprende perché una tale richiesta debba rimanere riservata e, ancor meno, si comprende il perché debba essere fatta a scopo ‘esclusivamente precauzionale’”.

10 Febbraio “Fermarlo? Difficile, quasi impossibile”

Alle mascherine l’allora Segretario generale della Salute non credeva granché, nemmeno il 22 febbraio quando i prezzi avevano già cominciato a crescere e la sua collega gli chiedeva se comprarne per sé e i familiari. “No”, rispondeva Ruocco. Il giorno dopo aveva cominciato a cambiare idea: “Bah compra qualche mascherina”. Il 1° marzo, nei giorni in cui il Cts e la Regione Lombardia si incartavano sulla zona rossa che non si fece in Val Seriana, Ruocco si era arreso: “Siamo alla frutta, i cinesi ci regalano 20.000 mascherine”, scriveva l’allora segretario generale, un dirigente da oltre 230 mila euro lordi annui di stipendio. Sapeva da settimane che l’Italia correva rischi, ma appariva piuttosto rassegnato: “Come ha detto la Capua, arriverà, moltissimi si ammaleranno, qualcuno morirà ma non sparirà l’umanità”, scriveva il 10 febbraio alla stessa collega. E lei: “Te pare niente… Facciamo in modo che non arrivi…”. Ruocco già allora non ci aveva grandi speranze: “Difficile… quasi impossibile… A meno che la fermino i cinesi”. Detto dal più alto in grado della Salute fa un certo effetto. Lei comunque è bravissima, merita senz’altro il cospicuo stipendio almeno per la capacità di previsione: “Ci saranno almeno 180 mila morti”, scriveva a Ruocco il 27 febbraio, a sette giorni dal paziente “uno” di Codogno, nelle stesse ore in cui arrivavano al Comitato tecnico scientifico e alla Regione Lombardia i dati che suggerivano la chiusura di Alzano e Nembro nella Bergamasca, quella che non si fece. Alla data di ieri, l’Italia conta 188 mila morti di Covid.

Il primo capo d’imputazione dei pm di Bergamo riguarda appunto i ritardi nella prevenzione. Il vecchio Piano pandemico antinfluenzale risaliva al 2006 e “per 16 anni”, dal 2004 al 2020, non fu mai “intrapresa una singola attività o progetto che avesse l’obiettivo di valutare lo stato di attuazione del Piano Pandemico Nazionale” o di “verificare lo stato di preparazione dell’Italia” al “rischio pandemico”, si legge nella relazione preparata per i pm di Bergamo da Andrea Crisanti, microbiologo e oggi senatore Pd. Per il mancato aggiornamento la Procura orobica manderà gli atti a Roma. Non fu applicato nel 2020, quel Piano, proprio perché ritenuto inutile, non operativo. Ma secondo la Procura di Bergamo invece si sarebbe dovuto attuarlo fin dal 5 gennaio quando era arrivato il primo alert dell’Organizzazione mondiale della sanità sulle polmoniti in Cina, anche perché l’Oms richiamava gli Stati alle “raccomandazioni sulle misure di sanità pubblica e sulla sorveglianza dell’influenza e delle gravi infezioni respiratorie acute”. E il Piano prevedeva misure per la sorveglianza (tamponi, reagenti), l’approvvigionamento di dispositivi di protezione, la ricognizione dei posti letto negli ospedali, la formazione del personale sanitario. Sono indagati per epidemia colposa, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio l’allora capo della Prevenzione Claudio D’Amario, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro e l’ex direttore della Protezione Civile Angelo Borrelli per il periodo successivo al 31 gennaio, quando fu nominato commissario per l’emergenza dichiarata in quella data dal governo, più l’ex ministro Roberto Speranza di cui però si occupa il Tribunale dei ministri di Brescia. Se sono stati commessi reati lo diranno i giudici, che la reazione al pericolo sia stata lenta e burocratica è difficile negarlo.

Ti potrebbero interessare

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione