Potesse, Giorgia Meloni nominerebbe se stessa ovunque, tanto poco si fida di alleati e suggeritori. Non potendo farlo, la partita delle nomine nelle grandi partecipate di Stato sarà il solito gioco di bilancino in maggioranza. Di norma è una danza in cui ci sono – si dice – “più culi che poltrone”, ma Fratelli d’Italia non ha classe dirigente per la politica, figuriamoci per i colossi pubblici. Per di più il cerchio magico della premier si assottiglia, chi si agita è messo ai margini. Il cognato Francesco Lollobrigida è in ombra, Meloni si affida soprattutto al fedelissimo Giovanbattista Fazzolari e al factotum Alfredo Mantovano.
La partita è corposa: si inizia il 26 con il Montepaschi (rivendicato dalla Lega mentre il Tesoro vuol rinnovare l’Ad Luigi Lovaglio); a inizio aprile tocca a Eni, Enel, Leonardo, Terna e Poste, solo a citare le più grosse. Se si contano quelle minori, i posti in cda e nei collegi sindacali, si arriva a 600 poltrone. Gli alleati non vogliono che Meloni decida da sola, lei fa di necessità virtù. Nelle scorse settimane, per dire, ha ricevuto da Silvio Berlusconi il papello con le richieste: 3-4 nomi a cui la premier non ha chiuso in cambio della promessa di marginalizzare i forzisti ostili in Parlamento, dalla senatrice Licia Ronzulli al deputato Giorgio Mulè. Detto fatto. L’altra sera, al tavolo a Palazzo Chigi per decidere il metodo di spartizione, per FI sedeva Gianni Letta su mandato di Marina Berlusconi, desiderosa di dare le carte dopo la tregua siglata con la fidanzata di B. Marta Fascina: Ronzulli, finora vera padrona dell’agenda dell’ex Cavaliere, resta fuori dalla partita.
Detto delle miserie dinastiche, partiamo con le certezze. Breve premessa: l’assenza di figure idonee ha già spinto la premier a bloccare l’idea, pur accarezzata da diversi suggeritori, di forzare anche le posizioni non in scadenza, tipo l’Ad di Cassa Depositi e Prestiti Dario Scannapieco o quello di Fs, Luigi Ferraris, scelti dal governo Draghi: andranno a scadenza naturale, è stato il diktat di Meloni.
Eni è l’unica tra le grandi dove è sicura la riconferma dell’amministratore delegato, Claudio Descalzi: sarebbe al quarto mandato, un record, ma si è blindato dettando la strategia energetica del governo, vecchio e nuovo, portando premier e ministri a spasso per i Paesi fornitori a firmare accordi. La Lega ha chiesto “discontinuità” nella gestione, ma è più un messaggio al manager per cambiare l’andazzo sulle seconde linee, accusate di essere di area Pd, dall’ex deputato Lapo Pistelli (Public Affairs) all’ex capo di Gabinetto di Draghi, Antonio Funiciello (Identity manager con licenza di spesa pubblicitaria cara ai giornali) fino al numero due Claudio Granata. Anche a questo tocca assistere.
Francesco Starace è invece al capolinea in Enel dopo tre mandati. Il manager scelto da Matteo Renzi nel 2014 paga la cronica incapacità di lavorare in asse con il governo, qualsiasi esso sia, arte in cui eccelle Descalzi. Con Mario Draghi la sua comprensibile esitazione iniziale per evitare un salasso uscendo dal mercato russo gli ha inimicato l’esecutivo. Al suo posto è quasi certo l’arrivo di Stefano Donnarumma, oggi Ad di Terna, la società delle rete elettrica: sono stati i 5Stelle a lanciarlo nel 2017 all’Acea, oggi il manager si è guadagnato per tempo i giusti quarti di melonismo. Il mandato affidatogli è di ridurre il pesante indebitamento, se possibile senza ridurre gli investimenti nelle rinnovabili dove Enel è leader.
Gli alleati, come detto, hanno già fatto sapere alla premier che non può avere tutto. Incassate le due aziende più grosse, la Lega chiede almeno un amministratore delegato. La partita più delicata riguarda Leonardo, l’ex Finmeccanica. Alessandro Profumo è considerato in uscita, ma fonti qualificate sono pronte a giurare che potrebbe spuntare il terzo mandato a sorpresa.
Il favorito era un manager interno, Lorenzo Mariani, che guida la partecipata Mbda, la società missilistica europea. Guido Crosetto lo ha spinto con troppo anticipo, tanto più che il ministro della Difesa non è nel cerchio magico della premier e al momento appare defilato. Mariani ora prova ad accreditarsi con la Lega – che rivendica la guida dell’azienda – e nei giorni scorsi ha incontrato, come tanti, gli uomini di sottogoverno di Salvini, Edoardo Rixi e Alberto Bagnai. Leonardo sta a cuore al Carroccio per un motivo semplice: la gran parte degli stabilimenti è concentrata nel Nord tra Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria, Regioni a guida centrodestra, di cui tre a trazione leghista.
Il manager d’area è Gian Piero Cutillo, capo della divisione elicotteri, ma il suo sponsor è il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti (il cui fratello è un dirigente della divisione di Cutillo, concentrata proprio a Varese). Insomma, non è un nome di Matteo Salvini e per questo potrebbe spuntarla un altro manager del settore. Resta da superare i desiderata di Meloni, che fa sapere di volere per quel posto l’ex ministro Roberto Cingolani, che ha tenuto al governo come consulente per l’energia. Come Il Fatto ha già raccontato, su questo Meloni s’è scontrata con Crosetto, contrario alla scelta. Cingolani è un manager di Leonardo, chiamato da Profumo, ma completamente digiuno del settore Difesa e di ruoli apicali: insistere sul suo nome per un’azienda 15 miliardi di ricavi disperatamente in cerca di futuro (in 10 anni ha perso tre miliardi di fatturato), non sembra una grande idea. Forza Italia, invece, spinge per l’ex Eni Paolo Scaroni per la presidenza, dove è dato in uscita Luciano Carta, ex capo dell’Aise.
L’altra azienda contesa è Poste dove Matteo Del Fante, manager renziano poi gradito ai 5Stelle, è dato in uscita, anche se può contare su ottima stampa visto che l’ex monopolista è tra i maggiori inserzionisti pubblicitari d’Italia. Se non dovesse farcela (nel frattempo si è trovato un buen ritiro nella società Giubileo 2025), per il suo posto circola il nome di Flavio Cattaneo, non sgradito a FdI grazie ai buoni uffici di Ignazio La Russa. Ci spera anche Giuseppe Lasco, condirettore generale di Poste, ex Guardia di finanza le cui azioni sono però in forte calo come le ambizioni del comandante generale uscente della Gdf, Giuseppe Zafarana, di andare alla presidenza. La Lega pensa a Igor De Biasio, consigliere Rai.
L’altra certezza è che Meloni dice di volere una donna alla guida di una delle partecipate. La candidata più accreditata è Giuseppina Di Foggia, Ad di Nokia Italia che vanta un legame personale con la premier. Per lei si parla di Terna o Enav. Esclusa invece l’ipotesi di Lucia Morselli, manager dell’Ilva che in questi anni ha solo fatto la guerra allo Stato. A conti fatti, FdI prenderà le poltrone più rilevanti, la Lega almeno una e si concentrerà su quelle minori (Rfi e Trenitalia, ma anche Sogin, dove Salvini pensa a Vincenzo Pepe, senatore mancato già indagato per truffa), mentre FI punterà alle presidenze. Tutto come al solito.