Lunedì 20 marzo, con il ritorno della primavera, la Scuola del Fatto Quotidiano parte con il suo primo corso di formazione, dedicato all’analisi del sistema sociale. Quattro mesi fa avevamo annunziato la nascita della Scuola come parte integrante della galassia che ruota intorno al Fatto; a gennaio è iniziato presso il cinema Farnese di Roma il ciclo di 7 incontri su “Destra e Sinistra”; ora comincia via internet un intero corso dedicato alla transizione che la nostra società sta compiendo dall’assetto industriale a quello postindustriale.
Così 11 docenti di grande prestigio e 70 partecipanti fortemente motivati domani imboccano un percorso formativo di 30 ore per ricostruire la storia degli ultimi decenni e azzardare la previsione del prossimo futuro. I temi sono cruciali: sviluppo e sottosviluppo; distribuzione della ricchezza e del potere; complessità provocata dal progresso; dialettica tra neoliberismo e socialdemocrazia, tra conflitti e cooperazione; trasformazioni del territorio e della la città, dei consumi, dell’estetica e dell’etica, della cultura, del lavoro, dell’ozio e della creatività; paure globali e ricerca della felicità. I docenti sono tutti di prim’ordine: Vanni Codeluppi, Vito Mancuso, Miriam Mirolla, Tomaso Montanari, Franco Purini, Pasquale Tridico e Gianfranco Viesti.
Per offrire un quadro completo del mutamento, due docenti – Aurelio Canonici e Luca Sommi – faranno scorrere, parallelamente al discorso socio-economico, anche i capolavori che hanno segnato il passaggio da moderno a post-moderno nella storia della musica e della letteratura.
“Nessun vento – dice Seneca – è favorevole per il marinaio che non sa dove vuole andare”. Ma nessun marinaio – aggiungo io – può sapere dove andare se non conosce la situazione da cui parte e se non programma il futuro che lo attende. Noi veniamo da duecento anni di società industriale, iniziati intorno alla metà del Settecento e terminati alla metà del Novecento, durante i quali in Europa hanno dominato la produzione in grandi serie di beni materiali, la fabbrica, la lotta di classe tra proletariato e borghesia, l’urbanesimo, l’industria culturale basata sui media tradizionali, il consumismo, la fiducia in una illimitata disponibilità di risorse e una illimitata crescita del PIL.
Poi l’azione sinergica del progresso tecnologico, dello sviluppo organizzativo, della globalizzazione, dei mass media, della scolarizzazione diffusa, amplificata da una guerra mondiale e da una guerra fredda, ha modificato radicalmente il sistema socio-economico spingendolo dall’assetto industriale a quello postindustriale. Sulla produzione di beni materiali, che è continuata impetuosa, ha prevalso quella di beni immateriali come i servizi, le informazioni, i simboli, i valori e l’estetica. I “colletti bianchi” hanno superato percentualmente i “colletti blu”. Le tecnologie digitali hanno soppiantato quelle meccaniche ed elettromeccaniche. La globalizzazione ha trasformato il pianeta in un grande vicinato. Il tempo libero ha superato quantitativamente il tempo dedicato al lavoro. Nuovi soggetti sociali, dotati di una inedita cultura digitale, hanno rapidamente soppiantato i vecchi soggetti analogici. Nuovi valori, nuovi timori, nuove speranze hanno accomunato vaste fasce della popolazione mondiale. Intanto il progresso tecnologico ha fatto ulteriori passi da gigante: poiché la potenza di un microprocessore raddoppia ogni 18 mesi, entro il 2030 un chip sarà centinaia di miliardi di volte superiore all’attuale. Ma non basta: con l’ingegneria genetica stiamo vincendo molte malattie, con l’intelligenza artificiale stiamo sostituendo molto lavoro intellettuale, con le nanotecnologie gli oggetti possono relazionarsi tra loro e con noi, con le stampanti 3D possiamo costruire in casa molti oggetti che ora compriamo fuori.
Ormai fenomeni imprevisti e sconvolgenti – quelli che il famoso matematico libanese Nassim Nicholas Taleb chiama “cigni neri” – avvengono con frequenza crescente cogliendoci impreparati nella teoria e inermi nella pratica. Tutto questo ci disorienta e gli antropologi hanno spiegato perché. Il nostro modo di pensare e i nostri comportamenti si adattano alle situazioni in cui viviamo per un certo tempo. Così, durante i duecento anni vissuti all’insegna dell’industria, avevamo appreso a vivere secondo le esigenze e i valori del mondo industriale. Ma non basta passare da un’economia industriale a una postindustriale perché il nostro cervello si adegui immediatamente al nuovo contesto. Per il fenomeno del cultural gap, durante le prime fasi della nuova era continuiamo a ragionare e ad agire come ci eravamo abituati a fare nell’epoca precedente.
Di qui la resistenza ai cambiamenti, più tenace negli adulti che nei giovani.
Di qui la diffusissima sensazione di disorientamento, che deriva da cause specifiche e assume forme diverse a seconda del campo in cui dispiega la sua scoraggiante influenza. Disorientamento economico a causa dei mercati finanziari e delle crisi sempre più frequenti. Disorientamento politico, per la complessità delle situazioni e l’inadeguatezza dei leader. Disorientamento sociale, per il mutato rapporto tra uomini e donne, giovani e adulti, autoctoni e immigrati, occupati e disoccupati. Disorientamento biologico, per l’ingegneria genetica e per la sexual fluidity. Disorientamento familiare, per la longevità, per la convivenza di cinque generazioni, per le forme nuove di convivenza. Disorientamento religioso per il conflitto tra scienza e fede, per il diffondersi dell’ateismo, per la compresenza, nel medesimo contesto, di fedi diverse. Disorientamento culturale, per il tramonto delle ideologie e la carenza di “maestri” capaci di fare da punti di riferimento intellettuale. Disorientamento estetico, per la rapida oscillazione dei gusti e la distinzione sempre più tenue tra forma e contenuto, tra significante e significato.
Il disorientamento ingarbuglia il pensiero, blocca la creatività, paralizza l’azione e appanna la felicità. Scopo primario della Scuola del Fatto Quotidiano, che inizia domani la sua attività avviando il corso sul “Sistema Sociale”, è appunto quello di arginare il disorientamento con la conoscenza, esorcizzare la resistenza al cambiamento con la progettazione del futuro. All’insegna di Eraclito, secondo cui “è nel mutamento che le cose si riposano”.
* Direttore della Scuola del Fatto Quotidiano