Un Manzoni trasgressivo, lontano dalla figura impolverata e un po’ bigotta che, purtroppo, a volte si spiega a scuola. Un Manzoni prima uomo e poi scrittore, quello che Eleonora Mazzoni ci racconta ne “Il cuore è un guazzabuglio”, che esce oggi per Einaudi (pagg. 168, Euro 14), intrecciando le pagine dei “Promessi sposi” con una biografia costellata di slanci arditi, delusioni cocenti e brucianti amori. Abbiamo chiesto all’autrice di spiegarci perché proprio Manzoni.
Ho avuto la fortuna che la mia prima volta con I promessi sposi sia avvenuta al di fuori dell’obbligo scolastico. Alla fine della prima media, in una di quelle lunghe giornate calde d’estate in cui nel mio paese c’era poco da fare e il tanto lo si poteva solo immaginare, rovistai nella libreria di mio padre, visto che della mia avevo prosciugato ogni titolo, imbattendomi in un tomo dalle pagine gialline e la copertina spartana, che mi trasportò di colpo in un viaggio avventuroso. Questo scrittore è uno che capisce gli esseri umani, pensai. Sa come sono fatti la loro testa e il loro cuore. Mi parla e mi comprende. Me ne innamorai follemente.
Ho avuto un’ulteriore fortuna: il professor Cappellini, un supplente che rimase per entrambi gli anni del ginnasio. Arrivava da Cesena ogni mattina con la corriera, scendendo proprio davanti al liceo con un piccolo balzo. Era un giovane uomo dall’abbigliamento casual e leggermente délabré. Amava I promessi sposi e ci sollecitava a fare ricerche. In autonomia. Con poche verifiche, scadenze, compiti. Così io e la mia compagna di classe Sabrina trascorrevamo i pomeriggi in biblioteca, a leggere quelle pagine ad alta voce e a scovare come rabdomanti altri volumi, guidate solo dalla nostra curiosità. All’università incontrai poi il professor Ezio Raimondi, insigne italianista e sterminato lettore, che mi rapì parlandomi di grandi autori per me allora sconosciuti. E di Manzoni. Ma in una maniera del tutto inedita.
In seguito ho letto I promessi sposi talmente tante volte da farlo diventare il famoso libro del cuore, quello imprescindibile, da portare anche su un’isola deserta. Spesso ho rinunciato a riprenderlo in mano solo per paura di consumarlo, dimenticando che un capolavoro non correrebbe mai questo rischio, dal momento che, come dice Calvino, “non ha mai finito di dire quello che ha da dire”.
Nel tempo ho aggiunto al mio bagaglio i ricordi di chi Manzoni lo aveva conosciuto personalmente e le milleottocento lettere che ci ha lasciato, che mi hanno permesso, nonostante siano impregnate della reticenza che sempre lo contraddistingueva, di seguirlo passo passo.
È vero, le biografie non spiegano gli artisti e ciò che contano sono soltanto le opere, ma è altrettanto vero che gli artisti le contaminano con il corpo caldo dei loro legami profondi. “La vita vissuta e la vita scritta si rischiarano e si completano a vicenda”, diceva Carlo Dossi, attento conoscitore di Manzoni, oltre che lontano cugino, mentre Silvio Pellico, con cui lo scrittore condivideva gli ideali di libertà e la passione poetica, sosteneva: “Scrivi la tua vita, velando, aggiungendo, modificando, ed ecco un romanzo”. E la vita, oltre a sottrarre l’autore all’astrazione, getta esili ponti tra lui e chi legge, tra chi legge e se stesso. Sono proprio questi sottilissimi fili che mi hanno legata ancora di più all’“opera inquieta” di Manzoni, così capace ancora adesso “di dipingere la natura umana” e aiutarci “a considerare nella rappresentazione degli altri il mistero di se stessi”.
Ne I promessi sposi, infatti, non c’è il Seicento solo per parlare dell’Ottocento ma anche di noi “inquieti di oggi”. Perché l’uomo, meschino e delicato, luminoso e oscuro, predatore e capace di altruismo, sublime e miserabile, sempre in bilico tra ascesa e caduta, sopore e risveglio, sterilità e slancio, continuerà a tartassare i suoi simili, abusando e compiendo violenze. Subirà ingiustizie, si umilierà, si ribellerà, disobbedirà. Anelerà alla libertà e alla felicità. I suoi talenti a volte non gli basteranno. Non riuscirà a farsi strada senza le amicizie giuste o senza arroganza. Farà guerre, non avrà abbastanza da mangiare, verrà sconvolto da carestie e pesti, si ammalerà e il suo destino gli sembrerà appeso a un filo. Ma dovrà sempre affrontare la questione essenziale che si trova alla fine del romanzo: scegliere di coltivare la fiducia oppure cedere alla disperazione.
*Eleonora Mazzoni dopo la laurea in Lettere all’Università di Bologna con il professor Ezio Raimondi e il diploma di recitazione presso la Scuola di Teatro di Alessandra Galante Garrone, fino al 2010 lavora come attrice per teatro, cinema e tv. Ha pubblicato, tra gli altri, “Le difettose” (Einaudi, 2012), “Gli ipocriti” (Chiarelettere, 2015), “In becco alla cicogna!” (Biglia Blu, 2016). Alcuni suoi racconti e scritti sono apparsi in diverse antologie. Scrive soggetti e sceneggiature per il cinema e la televisione. Dal 2022 è la direttrice artistica del Festival culturale Caterina Sforza di Forlí. L’anticonformista