Un antico e non molto educato detto toscano recita che “la legge è come la pelle dei coglioni: più la tiri, più si allunga”. Le cricche giuridico-burocratiche italiane l’hanno trasformato in una filosofia di vita, codificandolo nel più prosaico “la legge si interpreta per gli amici e si applica ai nemici”. C’è però anche l’ipotesi estrema: si fa finta di nulla, nel più puro “metodo sticazzi”. La nomina di Roberto Cingolani al vertice di Leonardo è pronta a regalarci l’ennesima figura barbina delle istituzioni italiane.
Come ha ricordato Il Fatto, l’ex ministro è chiaramente incompatibile fino a fine ottobre col nuovo incarico: lo dice la legge numero 60 del 1953, che estende ai membri del governo le incompatibilità parlamentari; nello specifico, l’articolo 6: “Divieto (per un anno, ndr) di ricoprire cariche o uffici di qualsiasi specie in enti pubblici o privati per nomina del governo”. Questa legge, peraltro, è citata anche dalla “Frattini” del 2004, a cui l’ordinamento italiano affida la regolamentazione del conflitto d’interessi e che impone 12 mesi di stop per chi esce dal governo e finisce in un ente o società che opera “prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”. Per il governo è tutto a posto. Palazzo Chigi si affida al Tesoro, che al Fatto ha detto di aver verificato tutto con l’Antitrust (titolare della vigilanza). L’Antitrust fa sapere di non aver mai parlato con il Tesoro che, peraltro, alle nostre richieste di chiarimenti (“Perché la legge del ’53 non si applica?”) ha risposto rimandando alla sua stessa risposta, evidentemente considerandola una fonte normativa.
Anche un occhio inesperto può intravedere le tracce del “metodo sticazzi” in formazione. L’Antitrust – sollecitato dal deputato di Avs Angelo Bonelli – dovrà valutare il caso: se, come pare, si limiterà solo alla “Frattini”, Cingolani può dormire sereno, anche perché non prevede sanzioni (Domenico Siniscalco, per dire, lasciò il Tesoro per lavorare in Morgan Stanley, controparte del Tesoro). A chi tocca vigilare sulla legge del ’53? A nessuno, pare. E siamo sicuri che a nessun illustre commentatore giuridico verrà in mente di sollevare il tema. I vari Sabino Cassese riservano i loro strali sulla legge calpestata solo ai nemici. Basta poi non dolersi della disaffezione degli italiani verso le istituzioni.