E Mattarella parla a Auschwitz. Scontro sul decreto Cutro, la Lega ricatta Giorgia sulla protezione speciale Lei furiosa: “Matteo vuol solo piantare bandierine”
La distanza tra Roma e Auschwitz è siderale. Nella Capitale, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, fedelissimo della premier Giorgia Meloni, rispolvera la teoria della “sostituzione etnica” che non può essere la soluzione per affrontare la denatalità. Poche ore dopo, in visita al campo di sterminio nazista, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dice quella parola […]
La distanza tra Roma e Auschwitz è siderale. Nella Capitale, il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, fedelissimo della premier Giorgia Meloni, rispolvera la teoria della “sostituzione etnica” che non può essere la soluzione per affrontare la denatalità. Poche ore dopo, in visita al campo di sterminio nazista, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dice quella parola che il governo di Giorgia Meloni non riesce a pronunciare ed è ormai diventata un tabù: “fascismi”. Una dichiarazione in cui il capo dello Stato spiega che i regimi fascisti furono “complici degli orrori nazisti” perché “consegnarono i propri concittadini ai carnefici”.
La polemica di giornata però riguarda la frase di Lollobrigida pronunciata sul palco della Cisal: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica – dice il ministro – gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro”. Piuttosto, continua Lollobrigida, è necessario “costruire un welfare che permetta di lavorare e di avere una famiglia, sostenendo le giovani coppie a trovare l’occupazione”. Una teoria storica e cospirazionista che da tempo ha trovato casa in Fratelli d’Italia: Meloni l’ha usata diverse volte, ripetendola prima di arrivare al governo (nel 2016 anche lei parlava di “sostituzione etnica”). Ieri la premier, inaugurando il Salone del Mobile, però si era fermata a dire che bisogna “impiegare le donne e non i migranti”. Le parole di Lollobrigida hanno provocato polemiche nell’opposizione. Per la segretaria del Pd Elly Schlein sono “parole disgustose” che “hanno il sapore del suprematismo bianco”. Il M5S parla di “propaganda razzista” mentre per Carlo Calenda c’è una “pericolosa involuzione dell’Italia”. La premier Meloni non deve aver apprezzato toni così alti alla vigilia del 25 aprile. Nel pomeriggio Lollobrigida, così, ha pubblicato un video in cui ha accusato “la sinistra, priva di argomenti ed in evidente difficoltà, di alzare un polverone mediatico”. Nelle stesse ore, le parole di Mattarella da Auschwitz (“mai più!”) creano ulteriore imbarazzo tra gli esponenti del governo di destra che dovranno decidere cosa fare il 25 aprile e domani si troveranno a dover discutere in Senato una mozione delle opposizioni che impegna il Senato a rispettare “la verità storica” legata all’antifascismo. Al momento l’idea di FdI è quella di presentare una mozione alternativa ma FI vorrebbe votare quella della sinistra.
Ieri intanto, sul decreto Cutro al Senato, è stata un’altra giornata di scontro nella maggioranza. Alla fine è stato trovato un accordo ma è la Lega ad aver piegato FdI minacciando di andare da sola: dopo una riunione tra i capigruppo, il Carroccio ha ripresentato tutti i propri 21 emendamenti che ripristinano i decreti Salvini e ritirerà quelli sulla protezione speciale solo quando l’aula voterà l’emendamento di maggioranza per restringerla. Mentre FdI ne ha presentato uno che limita la “protezione arcobaleno” per chi si dichiara omosessuale: i meloniani vogliono eliminare il concetto di identità di genere mantenendo la protezione in caso di discriminazione sessuale. Sugli altri – che riguardano Cpr e Cas – FdI e FI sosterranno quelli della Lega per evitare la spaccatura nel governo al momento del voto. Ma fino a ieri erano proprio i meloniani a chiedere di ritirare tutti gli emendamenti leghisti. La premier ha subito l’assalto leghista chiedendo ai suoi senatori di intervenire in aula facendo propri gli emendamenti: “L’immigrazione è un tema nostro”, dice Meloni. Che però è furiosa con Salvini per l’atteggiamento ricattatorio sul decreto e per la sua strategia di logoramento. Meloni sostiene che Salvini voglia solo “piantare bandierine” ed è è facile farlo “dal ministero delle Infrastrutture senza responsabilità”.