Se “io sono quello che il tuo stesso mare lo vede dalla riva opposta” (per dirla in musica), allora io sono anche colui che nel Mediterraneo si specchia e vede riflesso un sé sottosopra; trova lo spazio vuoto dello Stivale e la mano assente della Macedonia; siede in ogni angolo (che tale non è, perché il mare non ha spigoli) sulle sedie diverse, provenienti dai luoghi che intorno a quel mare, il Nostro, si affacciano. “Love difference – Mar Mediterraneo” è un’opera ancora più efficace oggi, che la protezione speciale viene messa in discussione, di quando fu realizzata, nel 2003, e che valse al suo autore il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia. È una delle 50 opere, oltre alle 4 installazioni site specific, che si possono ammirare fino al 15 ottobre al Chiostro del Bramante, a Roma. Una mostra, “Michelangelo Pistoletto. Infinity”, curata da Danilo Eccher, che ci restituisce 60 anni di carriera di un artista quasi 90enne, capace di rielaborare il tempo e lo spazio frantumandoli e ricucendoli in un caleidoscopio. Ciò che lega l’universo alla mente umana non è che lo stesso principio, scrive Pistoletto: “L’universo contiene tutto il possibile e man mano a ogni istante, lo traduce in essere. Il nostro cervello è come l’universo perché contiene tutto il possibile e con l’arte lo trasforma in essere”. Non c’è distinzione, tra arte e vita, mescolate nel gioco della giusta distanza: “Avvicinati”, si legge alla base del “Quadro specchiante” che però, poi, rimanda indietro. E così la persona diventa la propria moltiplicazione, attraverso il complesso sistema di “Metrocubo di infinito”. Infinito che è il simbolo che l’artista rielabora per creare il “Terzo Paradiso”, con la sua trinamica, la dinamica del numero 3, quello in cui l’io e il tu si fondono nel noi. Arte e vita sono l’una dentro l’altra, come nella “Venere degli stracci”, in cui la bellezza classica è minacciata da una montagna di modernità. L’eterno nel quotidiano, la frenesia nella trascendenza. Un “attivatore”, così si definisce Pistoletto, conscio della necessità che ognuno contribuisca a realizzare la “grande opera comune di un’umanità nuova”: ed è per questo che, nell’ultima sala, il “Terzo paradiso” è una distesa di piatti, che solo suonati insieme danno senso all’opera. E alla vita.
22 Aprile 2023