Il Fatto di domani. Prima telefonata tra Xi e Zelensky: la Cina ci prova, l’Ucraina ci spera. Il flop italiano sulla ricostruzione. La nuova austerità ci costerà 15 miliardi all’anno

Di FQ Extra
26 Aprile 2023

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UCRAINA, LA PRIMA TELEFONATA TRA XI E ZELENSKY. Kiev l’aspettava da settimane, gli Usa ne sono rimasti spiazzati, forse sarà il primo passo di una nuova via diplomatica alla soluzione del conflitto. Il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky hanno avuto un colloquio telefonico oggi. Lo stesso Zelensky, dandone notizia sui social, ha definito la telefonata “lunga e significativa”. La sintesi dell’ora di conversazione, riportata dai media di Stato cinesi, non cita mai le parole “Russia” e “guerra” e ripete i punti sottolineati da Xi nelle sue dichiarazioni pubbliche: “Promuovere la pace e il dialogo” e rispettare la sovranità territoriale degli Stati, come aveva già detto anche dopo l’ultimo incontro con Putin. Quello di oggi è il primo colloquio telefonico tra il leader cinese e il presidente ucraino dall’invasione russa 14 mesi fa. Pechino si è fatta promotrice di un piano di pace in 12 punti, ma finora Stati Uniti e alleati europei avevano mostrato grande scetticismo ritenendo i cinesi troppo vicini a Mosca. Dal canto suo, Zelensky si è sempre detto interessato ad aprire un canale con Xi, soprattutto dopo il bilaterale del 20 marzo tra il presidente cinese e Putin. Dopo la conversazione telefonica, Kiev ha sbloccato il nodo dell’ambasciatore a Pechino e nominato un ex ministro al ruolo. Washington ha affermato che non sapeva nulla della telefonata, ma l’ha accolta positivamente. Secondo le parole di John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza Usa, “è da tempo che chiediamo che la Cina ascolti la prospettiva ucraina”. Sul Fatto di domani approfondiremo il senso politico e diplomatico di questa telefonata, ricordando anche lo scetticismo affrettato sull’iniziativa cinese di molti commentatori nostrani. Poi vi racconteremo i combattimenti sul campo: è stato ferito a Kherson l’inviato in Ucraina di Repubblica Corrado Zunino, ha perso la vita il suo interprete Bogdan Bitik.


RICOSTRUZIONE UCRAINA, PER MELONI GLI AFFARI VALGONO L’ADESIONE DI KIEV ALL’UE. MA LA PARTITA SI GIOCA ALTROVE. La telefonata tra Xi e Zelensky ha amplificato il flop già annunciato della Conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina organizzata dal governo e svoltasi stamattina a Roma. Come avevamo scritto sul Fatto, i leader occidentali avevano già declinato l’invito. A fare gli onori di casa oggi c’era la premier Giorgia Meloni, i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini, i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti e del Made in Italy Adolfo Urso. A seguire una nutrita schiera di circa 600 imprenditori di Confindustria. Per Kiev c’era invece il primo ministro, Denys Shmyhal, e il titolare degli Esteri, Dmytro Kuleba, e un video messaggio di Zelensky. Meloni ha esortato le aziende a scommettere sulla vittoria di Kiev e ha presentato lo sforzo della ricostruzione come un modo per cementare l’adesione del Paese all’Ue. Anzi, la premier ha affermato che dal suo punto di vista occorre accelerare sulla richiesta di ingresso nell’Unione. “La ricostruzione inizia adesso. Siamo uniti nella difesa e siamo uniti nella ricostruzione”, ha dichiarato il premier ucraino Shmyhal, sintetizzando il sentimento comune. La vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, Gelsomina Vigliotti, ha stimato che servono 14 miliardi di dollari solo per le priorità più urgenti del 2023: si parla di investimenti che non possono aspettare la fine della guerra. Sul Fatto di domani vedremo che a dispetto degli annunci l’iniziativa di Chigi avrà ricadute molto incerte, perché sulla partita della ricostruzione si gioca altrove, tra Berlino, Parigi e Londra.


PATTO DI STABILITÀ, LA GERMANIA RIFIUTA LA PROPOSTA UE. L’AUSTERITÀ CI COSTERÀ 15 MLD ALL’ANNO Sul Patto di Stabilità tutte le strade portano all’austerità. A Bruxelles oggi la Commissione Ue ha presentato la sua proposta di riforma dei vincoli di bilancio, parzialmente sospesi fino al 31 dicembre per il Covid. I parametri fondamentali restano gli stessi dagli anni ’90: il deficit (differenza tra entrate e uscite) non superiore al 3% e debito pubblico al 60% del Pil. Von der Leyen invoca una “percorso di aggiustamento” dei conti pubblici concordato con gli Stati, della durata da 4 anni (non più 1) a 7, con sanzioni pecuniarie per i Paesi che sgarrano. Sarà la Commissione Ue a giudicare il percorso fiscale con “un’analisi della sostenibilità del debito”, e questo ha provocato l’ira della Germania, che vuole una gabbia più sicura per le politiche fiscali e di bilancio, riducendo i margini discrezionali di Bruxelles. Il ministro delle Finanze di Berlino Lindner lo ha detto chiaramente: “La proposta della Commissione Ue non soddisfa ancora le richieste della Germania”. Il braccio di ferro continuerà. Ora la bozza passerà al vaglio del Parlamento e del Consiglio Ue, secondo le consuetudini tortuose della legislazione europea. Che il vento soffi in direzione dell’austerità, comunque, lo dice chiaro Paolo Gentiloni (commissario Ue all’Economia): “L’Italia dovrà ridurre il livello del proprio debito e credo che non ci sia nessun italiano che non ne sia consapevole”. Il nostro debito si attesta al 144% del Pil, solo la Grecia fa peggio (171%). Secondo le stime europee, se il piano fosse approvato dovremmo varare una manovra correttiva da circa 15 miliardi l’anno, pari allo 0,85% del Pil. Sul Fatto di domani leggerete la nostra analisi. L’Italia è nel mirino dell’Ue anche per l’approvazione del Mes (il Fondo salva-Stati), tuttora in sospeso. Oggi fonti di Bruxelles hanno fatto filtrare che venerdì, all’incontro informale dei ministri delle Finanze dell’Eurozona, a Stoccolma, si farà pressione su Roma per la ratifica. Sempre in via informale, Palazzo Chigi dice che la sua posizione scettica resta invariata.


BUIO FITTO SUL PNRR, IL MINISTRO IN AULA NON CHIARISCE I DUBBI: “SPENDEREMO TUTTO, MA ALCUNI PROGETTI SONO DA RIMODULARE”. Raffaele Fitto rassicura sull’intenzione di spendere “tutti i soldi” – 209 miliardi – del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), mentre sulla terza rata da 19 miliardi proseguono le trattative con l’Europa. Il 22 aprile era stato il ministro Crosetto a ventilare l’ipotesi di restituire una parte dei fondi, rilanciando una tesi già espressa dalla Lega. Nella sua informativa alla Camera e al Senato, il ministro per gli Affari europei non fuga affatto tutti i dubbi. Restano sul tavolo le obiezioni dell’Ue per la consegna della terza tranche dei fondi: lo stadio di Firenze e la cittadella dello sport di Venezia; il teleriscaldamento con il nodo sul gas; le concessioni portuali. Fitto è ottimista, annunciando una soluzione “nelle prossime ore”. Saranno da rimodulare alcuni dei 27 obiettivi da realizzare entro il 30 giugno 2023, come gli asili nido e le scuole per l’infanzia. Da questi target dipende la quarta rata da 16 miliardi. Per sanare i ritardi, il governo potrebbe dirottare alcuni progetti dal Pnrr verso i Fondi europei di coesione, spostando al 2029 il traguardo dei fine lavori. Non sono neppure chiari i progetti destinati al RePowerEu, il piano presentato a marzo 2022 per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo: per il governo, sarebbe un’opportunità per accorciare i tempi di spesa puntando sui progetti – già pronti – nel cassetto dei colossi pubblici come Enel, Eni e Snam, che il Pnrr non potrebbe finanziare. Il sospetto è che, per spendere subito, si tiri il freno alla transizione ecologica investendo sul gas, come ha detto Angelo Bonelli dei Verdi: “Ci chiediamo se le grandi partecipate di stato, Eni e Snam, faranno la parte dei leoni per accaparrarsi questi fondi e realizzare un hub del gas in Italia, andando così contro la transizione ecologica”. Sul Fatto di domani approfondiremo le parole del ministro Fitto e poseremo la lente sul Piano di ripresa e resilienza.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Enrico Borghi lascia il Pd per Italia Viva (e dà la colpa a Schlein). Il senatore ha annunciato oggi di aver lasciato i dem alla volta del partitino di Renzi. “Il Pd è diventato la casa di una sinistra massimalista figlia della cancel culture americana, che non fa sintesi e non dialoga”, ha spiegato. Il passaggio fa notizia, però, perché Borghi era stato designato dal Nazareno come componente del Copasir. Vedremo cosa questo comporta in termini di peso all’interno del Comitato.

Nordio vuole al ministero la giudice che raccomandava gli amici a Palamara. Il Guardasigilli ha indicato Rosa Patrizia Sinisi, 66enne presidente della Corte d’Appello di Potenza, come nuovo vicecapo del Dog, il Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria. Ma Sinisi per anni ha indicato a Palamara magistrati amici per i vertici degli uffici giudiziari pugliesi. La nomina oggi era all’ordine del giorno del plenum del Csm: vedremo com’è andata a finire.

Da Bassetti a Lopalco, da Galli a Viola: che fine hanno fatto le “virostar”. Abbiamo imparato a conoscerli durante la pandemia, visto che occupavano ogni spazio possibile in televisione. Ora che l’emergenza è finita, andremo a scoprire la “seconda vita” dei virologi.

Erdogan, malore in diretta tv: cancellati gli impegni elettorali. Il presidente turco ha avuto un malore durante un’intervista televisiva, la cui diretta è stata interrotta per 15 minuti. Erdogan è poi riapparso, facendo sapere di essere vittima di stanchezza e di un’influenza intestinale. Annullati per i prossimi 10 giorni i suoi appuntamenti in vista del voto del 14 maggio.


OGGI LA NEWSLETTER A PAROLE NOSTRE

Soldi per non abortire: in Puglia la delibera sospesa imbarazza Emiliano

di Ilaria Proietti

Dopo le polemiche, la retromarcia imbarazzata: il presidente della regione Puglia Michele Emiliano ha sospeso la delibera adottata dalla sua giunta solo la scorsa settimana che prevedeva un bonus da 5 mila euro per le donne che rinunceranno all’aborto. Quando lo scontro sulla schedatura da parte dei consultori delle richieste di accesso all’interruzione di gravidanza (e conseguente proposta di erogazione del contributo per l’acquisto del corredino e sussidio di 12 mesi alle donne in condizione di fragilità economica), era già diventato un caso nazionale. “Sostenere chi decide di non abortire e quindi aiutare la vita di bambine e bambini è cosa buona e giusta. Come fa la sinistra a fare polemica anche su questo? Che la Regione Puglia di Emiliano non si arrenda e prosegua su questa strada” aveva detto Matteo Salvini invitando il governatore a resistere alle pressioni. Meglio, alle denunce da parte del fronte femminista contro quello che è considerato un tentativo per ridurre ulteriormente il diritto di ricorrere alla interruzione volontaria di gravidanza in una regione in cui i medici obiettori restano la stragrande maggioranza (sono il 79% del totale). Anche per questo la misura di contrasto alla denatalità varata dalla giunta, prima della marcia indietro, è stata accusata di strizzare l’occhio al centrodestra. “Il contributo economico legato alla rinuncia all’aborto è un ricatto inaccettabile. Bene aver ritirato la delibera sperimentale della Puglia che lo avrebbe previsto. I diritti delle donne non sono in vendita” aveva chiosato Laura Boldrini del Pd.

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