C’era una volta 1 miliardo tondo, quello per gli “emolumenti accessori del personale dello Stato”, vale a dire i medici eroi e via dicendo, ricordate? Il decreto che istituiva l’apposito fondo, però, latita da ben cinque mesi. La Cultura invece si sa, quella può aspettare. E infatti, il decreto per erogare il fondo annuale da 100 milioni è scaduto a inizio marzo. Dovranno poi mettersi l’anima in pace i proprietari di casa alle prese con gli abusivi. In manovra il governo aveva messo 73 milioni di euro per esentarli dall’Imu. Il 16 giugno, con ogni probabilità, dovranno però pagare lo stesso la prima rata, con comico effetto-risucchio delle tante promesse di Meloni e Salvini contro l’adempimento “vergognoso”, figlio dell’oppressione fiscale “tanto cara alla sinistra”. Il 2 marzo scorso, infatti, come nulla fosse, è passato il termine per emanare il decreto che doveva indicare le modalità per richiedere l’esenzione. E fondi stanziati rimangono al Mef.
Non c’è solo il ritardo sul Pnrr. Il governo Meloni sta collezionando il suo record di decreti monchi anche sul fronte della legislazione ordinaria. Il conto generale arriva dall’ufficio per il Programma di governo. A oggi conta 181 decreti non attuati su 207, 52 dei quali sono ormai scaduti come lo yogurt, coi relativi fondi che rimangono nel freezer delle cose annunciate. Lo scomparto che fa il pieno è la prima Finanziaria dell’era Meloni con 118 decreti previsti, 18 adottati e 28 ormai scaduti, che blocca da sola 5 miliardi. Il Dipartimento di Chigi sottolinea il tentativo di limitare il ricorso a misure che rinviano ad altre stimando che l’89,1% delle somme stanziate nel 2023 (pari a circa 42,5 miliardi) sia riferibile a norme “auto applicative”, cionondimeno il restante 10,8% tiene in ostaggio una montagna di soldi. Da un conteggio che allarga poi lo sguardo a tutte le misure da licenziare, anche delle legislature passate, le risorse impigliate nei gorghi ministeriali superano quota 17 miliardi.
Riorganizzando i dati per importi spiccano i 400 milioni contro il caro energia: il decreto aveva ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni ma è scaduto il 31 marzo. Idem i 205 milioni accantonati in Finanziaria per alimentare il “Fondo contro la decarbonizzazione e la riconversione verde delle raffinerie esistenti”. Lo stesso per i contributi per il trasporto “con mezzi di categoria euro 5 o superiore” che facevano parte del pacchetto per la transizione ecologica. Ragionando per ministeri, svetta il dl Infrastrutture di Matteo Salvini: da solo cuba 1,6 miliardi di risorse bloccate per mancanza di decretazione di secondo livello.
Latita anche l’attuazione delle norme legate al Pnrr, spina nel fianco del governo e degli italiani tutti. Le misure inattuate del primo decreto della serie valgono 110 milioni, il secondo ne blocca 364, il terzo 557. Tra questi, risulta scaduto anche quello per nominare un “commissario straordinario”, lato infrastrutture, a cui affidare il “potere di garantire il rispetto del cronoprogramma dei progetti del Pnrr e di provvederne all’esecuzione”. Una specie di generale Figliuolo proposto da Salvini, in funzione anti-Fitto, che è rimasto sulla carta: era previsto nel terzo pacchetto Pnrr (legge 24 febbraio 2023 n. 13) ma il termine per designarlo è scaduto un mese dopo, quando Roma e Bruxelles già facevano a sportellate sui ritardi. Non sorprende se da un’elaborazione OpenPolis, aggiornata al 20 aprile, la palma d’oro degli atti mancati spetti proprio al ministro del Pnrr: con sette su sette, Raffaele Fitto fa il 100% dei decreti inattuati (al secondo posto svetta quello dell’Ambiente, con 51,5% di attuazioni ancora da pubblicare rispetto a quelle richieste).
Mancano varie misure collegate al piano, come 2 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi posti letto in alloggi o residenze per studenti universitari, che era una misura finanziata con i fondi ma il termine scadeva l’1 aprile 2023 e nessuno se n’è curato. Il terzo decreto attuativo più consistente in termini di risorse bloccate, pari a 1,15 miliardi di euro, è di responsabilità del ministero delle Imprese e del made in Italy e riguarda l’indicazione dei criteri e delle modalità di riparto del “fondo istituito per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative”. Anche in questo caso il termine per l’attuazione è passato l’1 aprile.
Tra le curiosità scadute. Dieci milioni sono bloccati al ministero della Santanchè, quasi bastasse la Venere in minigonna, costata quasi altrettanto, a rilanciare il turismo. Bloccati anche 5 milioni per quello sostenibile. Il 31 gennaio vengono congelati anche i 30 milioni per ristorare i gestori di impianti sciistici, magari per fare il paio coi balneari per i quali nulla si muove che qualcun non voglia. Mai se n’era parlato tanto, ma dopo l’orsa in Trentino torna in auge il problema della “gestione e contenimento della fauna selvatica”. Il decreto per l’adozione di un “piano straordinario quinquennale” scade giusto tra due giorni. E ancora. Matteo Salvini è stato a lungo consigliere comunale a Milano, la sua Milano. Ma è al suo ministero che deve bussare Beppe Sala da cui attendeva la prima tranche da 15 milioni (su 75 in tre anni) per il completamento della Metro Blu (M4) che, senza quelle risorse, rischia di fermarsi ai primi 5,8 km inaugurati a novembre. Sarà poi il pallino del Ponte, ma il 2 marzo sono scaduti i termini per il fondo che doveva garantire collegamenti aerei efficaci con la Sicilia e la Sardegna.
Il governo della destra che si (auto)definisce “sociale” insieme agli orsi dimentica anche i poveri e gli anziani: il 2 marzo scorso, come nulla fosse, è scaduto il termine per il decreto che doveva indicare i “criteri di erogazione del Fondo per la sperimentazione del reddito alimentare”. Sul piatto c’erano 1,5 milioni, ma forse era più impellente demolire quello di cittadinanza. Al palo resta anche il decreto che doveva indicare le modalità di rilascio del bonus trasporti per gli anziani. Nel frattempo, il vuoto circonda la campagna per le culle piene. Un’emergenza che doveva mobilitare tutti, anche le imprese. Il 2 marzo scorso è però scaduta una delle poche misure della legge di Bilancio alla voce “politiche per la natalità”: il tentativo di disciplinare e sostenere le donazioni da privati in favore di asili nido e scuole. Lo Stato garantiva 25 milioni nel 2023 più altri 40 per il 2024. Per ora sono a zero, molto peggio delle culle.