A pochi giorni dalla riconferma di Claudio Descalzi come Ad di ENI e in vista della prossima assemblea degli azionisti del colosso dell’oil&gas, Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace Italia pubblicano una nuova analisi della strategia climatica del Cane a sei zampe, presentata agli investitori nel mese di marzo e inclusa nella relazione annuale del 2022. Gli analisti denunciano che gli obiettivi di ENI non sono affatto in linea con gli impegni sul clima sanciti dall’Accordo di Parigi e che la major italiana continua imperterrita nell’espansione di petrolio e gas, incurante della crisi climatica ogni giorno sotto i nostri occhi.
Nel 2021, ENI si è classificata al diciannovesimo posto tra i produttori globali di petrolio e gas e al ventesimo posto come sviluppatore del settore upstream di petrolio e gas a livello globale. L’azienda prevede di aumentare la propria produzione di idrocarburi a 1,9 milioni di barili di petrolio equivalente al giorno, composta per il 40% da petrolio e per il 60% da gas, e di mantenere la produzione al livello di plateau fino al 2030. Se raggiungerà questo obiettivo, la sua produzione sarà superiore del 70% al livello richiesto per allinearsi agli scenari di riduzione delle emissioni “Net Zero Emission – NZE” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.
ENI non si è impegnata a interrompere lo sviluppo di nuovi progetti petroliferi e di gas oltre a quelli già in fase di sviluppo. Inoltre la major italiana possiede 3.880 milioni di barili di petrolio equivalenti di risorse di idrocarburi scoperte che non sono ancora entrate nella fase di valutazione o sviluppo. Per l’esplorazione di nuovi campi petroliferi e di gas, dal 2020 al 2022 ENI ha speso in media 787 milioni di dollari all’anno, il che la rende il diciassettesimo maggiore investitore al mondo in petrolio e gas.
“Secondo quanto raccomanda la comunità scientifica, questo dovrebbe essere il decennio in cui bisogna agire con decisione per evitare gli effetti peggiori della crisi climatica. ENI invece continua nel suo business as usual fossile dando una verniciata di verde anche alle sue relazioni annuali per gli azionisti, i quali dovrebbero intervenire con forza per chiederne conto al management della società”, dichiara Antonio Tricarico di ReCommon.
Riguardo all’utilizzo dei profitti e gli ingenti flussi di cassa generati dalla società, per ogni euro investito nella linea di business Plenitude – la sua divisione a presunte basse emissioni – nel 2022 ENI ha investito più di 15 euro in petrolio e gas. Tenendo conto che Plenitude contempla anche attività energetiche non rinnovabili, come la commercializzazione e la vendita al dettaglio del gas, che tra l’altro sono ancora le sue attività principali, per ogni euro investito in combustibili fossili meno di sette centesimi sono stati investiti in energie rinnovabili sostenibili.
L’azienda non intende aumentare gli investimenti nelle rinnovabili quanto necessario: dal 2023 al 2026, ENI prevede una spesa in conto capitale di poco superiore ai 9 miliardi di euro all’anno. L’azienda investirà da 6 a 6,5 miliardi di euro all’anno nelle sue attività upstream, di cui 2,1 miliardi di euro nell’esplorazione, mentre solo 1,65 miliardi di euro all’anno saranno dedicati alle energie rinnovabili, ossia meno del 20% degli investimenti previsti. Con investimenti così modesti, nel 2030, la quota massima di rinnovabili sostenibili nel mix di approvvigionamento energetico di ENI rimarrebbe al di sotto del 7%. “È inaccettabile che una società come ENI, che ha prodotto più di 20 miliardi di utile netto nel 2022 aggravando con le sue emissioni la crisi climatica, continui a investire in petrolio e gas, anche in presenza di una liquidità fuori misura. È chiaro che la dirigenza Descalzi crede unicamente nello sviluppo del gas. Tutto il resto è solo greenwashing“, dichiara Simona Abbate, campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia.