Da oggi sulla piattaforma online della comunità del Fatto Quotidiano sarà possibile firmare una nuova petizione: per liberare Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, rinchiuso dal 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh e in attesa di essere estradato negli Stati Uniti, dove rischia una condanna a 175 anni. Chiediamo alle istituzioni italiane di rompere il silenzio e di impegnarsi a tentare di salvare Julian Assange, ma non solo lui. Perché il giorno in cui Assange verrà estradato, a essere colpiti saranno tutti i giornalisti di WikiLeaks, con la loro rivoluzione, e tutti i giornalisti di ogni parte del mondo. Per questo abbiamo chiesto a Stella Moris, moglie di Julian e membro del suo team legale, un breve messaggio per rendere ancora più forte la nostra voce.
Vi prego di aiutarmi a salvare mio marito, Julian Assange.
Il feroce attacco contro Julian è un attacco al diritto dell’opinione pubblica di sapere cosa viene fatto nel suo nome e con i soldi delle sue tasse, ed è una camicia di forza usata contro i giornalisti di tutto il mondo. È un chiaro e pesante messaggio: la libertà di stampa sarà solo uno slogan vuoto finché i governi occidentali rimarranno in silenzio e saranno complici della sua incarcerazione. Se Julian verrà liberato, la portata di queste libertà potrà tornare al livello in cui si trovava un decennio fa. Ma fino a che Julian rimarrà imprigionato, i giornalisti di ogni parte del mondo rischieranno di essere vittime di abusi simili a quelli che lui ha subito, per le loro rivelazioni.
Stella Assange
Liberiamo Julian Assange: le istituzioni italiane rompano il silenzio
Da 13 anni il giornalista australiano Julian Assange, fondatore dell’organizzazione giornalistica WikiLeaks, ha perso la libertà e rischia di essere estradato nel giro di pochi mesi da Londra negli Usa, dove verrebbe rinchiuso per sempre in una prigione di massima sicurezza. Il suo unico crimine è avere svelato la verità. Lui e i suoi colleghi di WikiLeaks hanno pubblicato documenti segreti del governo americano che hanno permesso di scoprire crimini di guerra e torture, dall’Afghanistan all’Iraq fino a Guantanamo. Mentre Assange non è più un uomo libero dal 2010, i criminali che hanno commesso le atrocità denunciate da WikiLeaks si godono le proprie famiglie indisturbati. Il mondo alla rovescia: i criminali liberi, i giornalisti che li hanno denunciati in prigione a vita.
Ma questa ingiustizia abnorme è anche l’indicatore del destino delle democrazie occidentali. Per la prima volta nella storia degli Usa, un giornalista sarà incarcerato per aver rivelato informazioni vere e di pubblico interesse. Se la più potente democrazia del mondo – che garantisce protezione costituzionale alla stampa – si comporta così, altre democrazie la seguiranno. E non è un caso che riguarda solo i giornalisti, ma tutti i cittadini, perché abbiamo il diritto di sapere cosa fanno i nostri governi nel nostro nome e con i nostri soldi.
Per questo tutte le maggiori organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani e della libertà di stampa, da Amnesty International a Human Rights Watch a Reporters Sans Frontières, hanno ufficialmente chiesto al presidente Biden di non estradare Assange e di archiviare il caso contro di lui e la sua organizzazione. Si è mossa anche la politica, con gli appelli di centinaia di parlamentari di Inghilterra, Germania, Brasile e Usa. Ancora l’11 aprile si sono attivati i membri del Congresso americano Rashida Tlaib, Alexandria Ocasio- Cortez, Jamaal Bowman, Cori Bush, Greg Casar, Ilhan Omar e Ayanna Pressley. Solo le istituzioni italiane tacciono. Mentre si moltiplicano gli appelli della società civile, l’ingiustizia mostruosa contro un innocente e la distruzione della libertà di stampa sembrano non riguardare la Repubblica Italiana e i suoi rappresentanti.
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