Se un domani Giorgia Meloni riuscisse a introdurre il presidenzialismo, se poi il presenzialismo riuscisse a trasformarsi in autoritarismo e l’autoritarismo in turbofascismo, chi volesse capire come mai tutto questo sia successo dovrebbe leggere Si fa presto a dire sinistra. Tre anime in cerca di identità pubblicato in questi giorni da Salvatore Cannavò, vicedirettore del Fatto Quotidiano ed editor di Jacobin Italia, una delle più belle riviste – per contenuto e per veste grafica – della sinistra italiana.
Le sigle sono innumerevoli: Pci, Sinistra arcobaleno, Pd, Prc, Pds, Rifondazione comunista, Potere al popolo, Unione popolare, Sinistra italiana, LeU, Lista Tsipras, Sel, Possibile, fino a Ex OPGJe so’ pazzo, e così via. Lette tutte di seguito, rendono conto dei contorcimenti, dei congiungimenti, delle separazioni, dei ripensamenti, dei tradimenti, delle frantumazioni della sinistra liberaleggiante e di quella socialisteggiante. Inoltre, spiegano ampiamente sia il recente approdo della Meloni al potere, sia il crescendo di autoritarismo che connoterà la sua azione politica nei prossimi anni, fino a imporre progressivamente forme inedite di fascismo che non si chiamerà fascismo ma che, di fatto, lo sarà.
Per evitare quest’esito repellente non c’è che la sinistra, purché rivoluzionata da una totale ma improbabile palingenesi. I Greci dicevano che quando qualcosa è necessaria e tuttavia impossibile, la situazione è tragica. Noi in Italia – è bene ammetterlo – ci siamo cacciati in una situazione tragica. E il prezioso libro di Cannavò ce ne svela storicamente, chirurgicamente, impietosamente il come e il perché.
È chiaro cosa cercherà di fare la Meloni, che ormai può cavalcare e staffilare con tranquilla sicurezza i membri del suo governo: procederà nella imposizione dell’ordine interno avviata con il decreto contro i rave party; abbinerà la retorica nazionalista e patriottarda con la rassicurazione della propria fedeltà all’Ue, alla Nato e agli Usa; occuperà tutti gli spazi consentiti dalla democrazia sempre mantenendo ambigui rapporti con il fascismo; difenderà la sua concezione di comunità sociale incentrandola sulla lotta alla denatalità, sulla famiglia tradizionale ed eterosessuale; difenderà l’identità nazionale, il localismo, la terra, i valori, gli stili di vita, la cultura dei padri, avversando il globalismo, il multiculturalismo, il politicamente corretto, l’immigrazione, le organizzazioni non governative; manterrà un rapporto accortamente bilanciato tra lo Stato e il sistema produttivo ma, neoliberisticamente, si guarderà bene dal disturbare i produttori e farà in modo che la libertà dei privilegiati non sia minata dal rancore dei subordinati; devota a Edmund Burke e a Roger Scruton, identificherà i mutamenti sociali con la sovversione e associerà l’innovazione all’insicurezza, alla precarietà, a un futuro incontrollabile e capace di travolgere le nostre esistenze; evocherà il passato come porto sicuro, protezione, riparo, atavico bene rifugio; estenderà il raggio d’azione del suo partito fino a coprire tutta l’area conservatrice, legittimandosi come unica e vera destra del futuro.
A tanta furia solo la sinistra può fare da baluardo pur non avendo tutte le carte in regola. L’Ulivo disarticolò il tessuto sociale, precarizzò il mondo del lavoro, privatizzò le aziende pubbliche, ridusse il welfare. Il Pd – né socialista, né democristiano, né di sinistra e nemmeno progressista, confusamente americano – ha praticato l’interclassismo ma ha privilegiato le classi medie; ha facilitato la convergenza tra datori di lavoro e lavoratori, ma a scapito di questi; ha parlato di equità della distribuzione ma ha operato più in favore della produzione, ha predicato i valori socialdemocratici ma ha praticato quelli neoliberisti.
I 5 Stelle, da parte loro, hanno preferito barcamenarsi a lungo tra destra e sinistra, si sono fatti risucchiare nel gioco governativo, tuttora oscillano in modo ondivago dimostrando un’identità friabile e acerba.
Il risultato è che le distanze tra ricchi e poveri sono aumentate, che tutte le sinistre messe insieme non superano il 40% dei voti potenziali perché non sono in grado di proporre all’elettorato un modello di società nettamente alternativo a quello che ha in mente la Meloni. Tuttavia, nello scenario di sinistre liberaleggianti e socialisteggianti, solo queste ultime sono in grado di confrontarsi con il capitalismo e con la sua matrice neoliberista.
Innumerevoli sono i temi che il testo di Cannavò mette a fuoco. Accenno a quello della comunità, intesa come valore che fu identitario delle destre ai tempi di Tönnies e Peguy ma che, dopo Adriano Olivetti, può diventarlo per le sinistre. Oppure penso al tema del lavoro, che resta centrale in tutti i programmi delle sinistre benché, di fatto, ormai rappresenti appena un decimo della durata di vita dei cittadini, anche di coloro che, come direbbe Maurizio Landini, “per vivere hanno bisogno di lavorare”. Anche se il progresso tecnologico ci avvicina alla liberazione dal lavoro, ciò non toglie che liberarsi dal lavoro non risolve i problemi delle disuguaglianze di genere o della salvezza ecologica.
Insomma, siamo di fronte a un salto epocale e le sinistre, se vogliono gestirlo, debbono liberarsi della politica-spettacolo, appropriarsi di una rinnovata strumentazione critica, recuperare il valore e la forza dell’ideologia.
L’analisi spietata ma rigorosa della crisi in cui versano le sinistre, offerta dal libro di Cannavò, si placa in un capitolo finale dove viene avanzata una ricca serie di convincenti proposte per trarre queste sinistre dalla palude in cui sono impantanate. Prendono così nuova luce e vigore i concetti di lavoro, classe, genere, ideologia, libertà, comunità, uguaglianza e fraternità.