Cosa accade quando, una mattina, qualcuno di sinistra si sveglia diciamo un po’ fascista pensando che Giorgia Meloni non abbia poi tutti i torti? Le Confessioni di un ex elettore si aprono con l’inquietante metamorfosi che ho trascritto così come mi è stata riferita. E quando mi viene chiesto se in quel “qualcuno di sinistra” si riconosca un po’ anche l’autore, ammetto che sì in questa piccola antologia del nostro scontento elettorale c’è anche chi scrive, e non potrebbe essere altrimenti. Davvero vogliamo credere che il 26% di consensi raccolti dalla leader di Fratelli d’Italia il 25 settembre 2022 (successivamente salito al 30%) sia popolato esclusivamente da nostalgici postmissini o postfascisti? Che parte di un successo, imprevedibile soltanto un anno prima, non sia il frutto di un voto d’opinione proveniente anche da delusi del centrosinistra?
Per carità, non si tratta di un saggio politologico perché qui si racconta piuttosto di una rottura sentimentale con il diritto di voto che ha riguardato più di 22 milioni e 840mila cittadini, il 44,90 per cento che alle ultime Politiche non si sono recati a votare. Quando non hanno preferito deporre nell’urna una scheda bianca o annullarla vergandovi qualche insulto. Trattandosi di circa la metà della popolazione italiana adulta, ho cercato di cucire le più diffuse pulsioni – razionali, irrazionali, rabbiose, beffarde, ingenue – di un tale monumento al non voto che ho raccolto nel corso di un personale sondaggio frutto di franche conversazioni. Nel riconoscermi in uno, almeno, di quei voti non pervenuti ho fatto i conti con il mio essere divenuto, con l’avanzare dell’età, un elettore in qualche modo tormentato, dimezzato, scisso tra una lunga consuetudine ai seggi e la tentazione di restarne lontano. Soprattutto a seguito del suicidio-catastrofe del centrosinistra che ha spianato la strada al governo Meloni e che ha regalato alla superdestra Lombardia, Lazio, Friuli e importanti città. Nelle Confessioni si traccia una parabola politica, umorale, umana che parte dal “tradimento” subito dall’elettorato dell’area di centrosinistra, nei numeri maggioritario eppure costretto a recarsi ai seggi con la certezza di perdere le elezioni a favore del blocco sovranista e berlusconiano. Primo responsabile il Pd di Enrico Letta che a seguito della caduta del governo Draghi decise di cancellare il cosiddetto campo largo consegnandoci mani e piedi al potere di una destra che più destra non si può. Malgrado i 5Stelle di Giuseppe Conte si fossero mostrati disponibili a concordare possibili desistenze in una ventina di collegi senatoriali contendibili dove, sovente, lo scarto tra centrosinistra e destra si misurava in poche migliaia di voti. Niente da fare. Tra i tanti che hanno smesso di votare quanti sono coloro che hanno ritenuto imperdonabile una scelta sciagurata che ci ha consegnati al fronte avversario senza colpo ferire? Perciò quando da coloro che ci hanno mandati allo sbaraglio sento parlare di rischio autoritario, se non addirittura di un ritorno del fascismo, vorrei tanto rispondere: cari pidini, potevate pensarci prima. Di questo ex elettorato in crescita continua cerco di raccontare molto altro: la lingua incomprensibile della sinistra e poi, esaurita una prima sbornia, la delusione per un governo che si è dimostrato amico degli evasori, avido di poltrone, pronto a stravolgere la Costituzione con il presidenzialismo cucito sulla figura dell’uomo (o della donna) sola al comando. Per non parlare della strage di Cutro e della deriva umanitaria con cui si sta lasciando marcire la questione migranti (il “carico residuale” del ministro Piantedosi). Che fare allora? Ce lo devono dire loro se e come intendano riconquistare parte almeno della fiducia dilapidata. Con una opposizione da saldare sulle grandi questioni del Paese, a cominciare dalla lotta contro l’abolizione del Reddito di cittadinanza che si accanirà sulla sopravvivenza di oltre 400mila famiglie gettate sul lastrico. Vedremo, qui e ora, se il Pd di Elly Schlein, il M5S di Giuseppe Conte, la Cgil di Maurizio Landini sapranno promuovere un vigoroso contrasto al linguaggio unico della guerra senza se e senza ma.
“Pensare con la propria testa all’epoca del governo Meloni” è il sottotitolo che propone un metodo di sopravvivenza civile. Che potrebbe nascere dalla fuga dalla finta cultura dello scontro che domina social e tv. Cresce infatti il mondo dei non allineati di cui il nostro Fatto Quotidiano è un emblema. Nell’attesa (e nella speranza) che cambi davvero qualcosa mi considero un elettore in sonno.