Sentir parlare di maternità surrogata, ultimamente, è tutt’altro che inusuale. La pratica, in Italia, non è legale e sembra essere l’unico argomento capace di pacificare destra e sinistra. Infatti, salvo qualche timida apertura al dialogo, le due fazioni politiche sono pressoché concordi nel parlare di sfruttamento del corpo delle donne, di un mercato dell’orrore in cui i bambini diventano una merce acquistabile da chi possieda il “giusto” quantitativo di denaro. Surrogacy Underground, il documentario di Rossella Anitori e Darel Iaffaldano di Gregorio, si inserisce su questo sfondo e lo stravolge completamente. In poco più di un’ora, seguendo un fil rouge che unisce la Grecia, l’Inghilterra e l’Italia, restituisce le uniche prospettive possibili con cui affrontare un argomento tanto controverso: l’ascolto e la conoscenza.
Una panoramica sull’Acropoli e sulle contraddizioni architettoniche di Atene, insieme ricca e poverissima, apre il filone greco del racconto. In Grecia la GPA, ovvero la gestazione per altri, come spiega nel documentario il dottor Kostantinos Pantos del Genesis Hospital di Atene, è “legale solo a fini altruistici”. Alla gestante, ovvero la donna che porta avanti la gravidanza, viene concesso un rimborso pari a 10.000 euro per aver messo a disposizione il proprio tempo, ma qualsiasi altro tipo di pagamento rimane strettamente vietato. La pratica, inoltre, è accessibile solo alle coppie eterosessuali o alle donne, gli uomini o le coppie omosessuali non possono e, se vogliono intraprendere questo percorso, devono andare in Paesi la cui legislazione in materia è più permissiva, come gli Stati Uniti o il Canada. Come sottolinea Stella Belia, attivista per i diritti delle famiglie arcobaleno, “è una questione di patriarcato e stereotipi di genere. È difficile capire che anche gli uomini hanno il desiderio di diventare padre”, ma anche “di classi sociali”, infatti solo gli uomini che possano spendere ingenti cifre all’estero possono appagare il loro desiderio di paternità. Tuttavia, dall’indagine, emerge subito un altro aspetto: in Grecia, il fatto che una coppia proveniente dall’estero debba avere una madre surrogata ancor prima di prendere contatti con le cliniche per la natalità, crea un mercato sotterraneo, in cui i costi sono ben più alti di quelli fissati dalla legge.
Il filone inglese della narrazione, dove la GPA altruistica è legale fin dagli anni ’80, inizia con la storia di Georgina Roberts, nata nel 1998 da madre surrogata. Georgina ha sempre saputo di essere nata grazie a questa pratica e ha sempre frequentato la sua madre biologica, che definisce “mamma di grembo”, e la sua famiglia. Il ruolo della sua madre biologica è sempre stato molto chiaro nella sua storia e Georgina, fin da bambina, ha vissuto con grande serenità questa condizione, non trovandovi nulla di strano o di difficile da accettare. Quello che emerge, soprattutto dalle testimonianze delle donne che hanno portato avanti la gravidanza per altre persone, è che, alla base di questa scelta, vi sia soprattutto la voglia di aiutare un’altra famiglia a realizzare il proprio desiderio di genitorialità. Come evidenzia Bianca Dye, che ha portato avanti ben quattro gravidanze, “c’è una differenza tra le donne che, oltre al proprio corpo, mettono a disposizione anche i propri ovuli, dunque il proprio materiale genetico. In questo caso, infatti, sono biologicamente i tuoi figli”. È una scelta personale, coraggiosa, non opinabile. Così come personale è la scelta di conoscere o meno la famiglia per la quale si sta portando avanti la gravidanza, alcune preferiscono farlo e instaurano con loro rapporti che durano negli anni, mentre altre preferiscono non conoscere nulla. Allo stesso modo ci sono famiglie, come quella di Michael e Wes Johnson-Ellis, che vogliono conoscere le gestanti, considerandole parti imprescindibili di questo cammino. Tuttavia, tutte le gestanti sono concordi sul fatto di non essersi mai sentite emotivamente legate ai bambini che portavano in grembo e di aver percepito il proprio ruolo quasi come quello di una baby-sitter, un prendersi cura di un bambino solo per poi affidarlo alla sua famiglia.
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Arrivando alla questione del pagamento, le donne intervistate nel documentario percepiscono come giusto il fatto di ricevere un compenso, in quanto mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie energie, ma rimarcano anche che non è la ragione per le quale decidono di intraprendere questo percorso e soprattutto sia la legge inglese che quella greca pongono limiti ben definiti alle cifre che possono essere corrisposte, al fine di evitare che si crei un vero e proprio mercato.
L’ultimo spezzone del documentario racconta la storia di una donna italiana affetta da agenesia dell’utero e di parte della vagina che, insieme al suo compagno, ha deciso di intraprendere un percorso di GPA, trovando la propria madre surrogata in Ucraina, con la quale, fin da subito, hanno instaurato un legame. Lo scoppio della guerra ha notevolmente complicato la situazione, ma il modo intimo e affettuoso in cui la donna parla della propria madre surrogata stravolge completamente l’immaginario collettivo su questo tema, suggerendo che, forse, escludere la possibilità di legalizzare la GPA a priori, trascurando un desiderio di genitorialità che travalica le frontiere e ogni difficoltà, è solo una posizione miope. Lo sguardo del documentario è privo di pregiudizi, ma non acritico e restituisce la visione che la maternità surrogata, qualora affrontata secondo le giuste regole e nelle giuste modalità, possa essere un meraviglioso atto di altruismo.
Presentato in anteprima internazionale il 14 marzo a Milano nell’ambito delle 30° edizione di Sguardi Altrove Film Festival 2023, Surrogacy Underground verrà proiettato venerdì 19 maggio alle ore 19.30 al Cinema Farnese di Roma.
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