Per potenziare la filiera e rimpinguare le scorte inviate in Ucraina ecco nuovi fondi per i centri gestiti dall’Agenzia della Difesa
Giorgia Meloni lo ha ribadito più volte, da ultimo in Parlamento a marzo: inviare armi all’Ucraina non ha un costo per lo Stato e dire il contrario è solo “puerile propaganda”, visto che – è il ragionamento – a Kiev mandiamo avanzi di magazzino. Così però non è: al momento la spesa stimata è di […]
Giorgia Meloni lo ha ribadito più volte, da ultimo in Parlamento a marzo: inviare armi all’Ucraina non ha un costo per lo Stato e dire il contrario è solo “puerile propaganda”, visto che – è il ragionamento – a Kiev mandiamo avanzi di magazzino. Così però non è: al momento la spesa stimata è di circa 1 miliardo, ma è destinata a salire. La conferma, nel suo piccolo, arriva da una normetta inserita nel “decreto Lavoro”, ora in discussione al Senato. Nel testo approvato il giorno della Festa dei lavoratori per eliminare il Reddito di cittadinanza, il governo ha stanziato anche 15 milioni per potenziare la filiera delle munizioni. Nello specifico, 5,5 milioni nel 2023 e 9 nel 2024 per due stabilimenti dell’Agenzia industrie difesa, controllata del ministero diretta dal dalemiano, poi renziano, infine gueriniano (nel senso di Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa) Nicola Latorre, ex parlamentare dem nominato dal Conte-2 e riconfermato da Meloni. A cosa servono?
In sostanza, ad “aprire nuove filiere produttive e corsi per l’aggiornamento del personale, anche in collaborazione con privati” nei centri di Fontana Liri (FR) e Noceto (PR), due dei 9 in mano all’Agenzia che ha lo scopo di “gestire le unità produttive della Difesa” e rafforzare il suo ruolo di “fornitore privilegiato del ministero”, con “la creazione di sbocchi sul mercato concorrenziale”. A Fontana Liri quei soldi servono per “potenziare la produzione in house della polvere sferica per cartucciame di piccolo calibro”; per Noceto, a migliorare “le capacità di integrazione e successiva manutenzione del sistema missilistico destinato ad ammodernare la capacità di Difesa aerea nazionale di corto/medio raggio”. Perché farlo ora? La relazione tecnica e il servizio bilancio del Senato lo spiegano: “È una misura che risponde alle conseguenze dell’aggressione russa all’Ucraina sul sistema produttivo e sul mercato degli armamenti, in particolare nel settore del munizionamento. La guerra ha infatti prodotto l’esigenza di rafforzare la produzione per continuare a rispondere alle forniture alle forze armate ucraine, senza tuttavia sguarnire le riserve nazionali”. Insomma, mandiamo e manderemo proietti e missili a Kiev, serve rimpiazzarli o gestirli. “Questa norma svela la clamorosa bugia che Meloni disse in aula a marzo sostenendo che non spendiamo soldi per le armi inviate”, ha attaccato ieri Ettore Licheri (M5S).
I soldi non saranno gli ultimi, ma neppure sono i primi. L’Osservatorio Milex stima una spesa per l’invio di armi di circa 1 miliardo, che è poi la cifra quantificata a gennaio dal ministro degli Esteri Antonio Tajani (e all’epoca mancava ancora il sesto decreto di invio di armi). Circa 500 milioni sono per rimpolpare le scorte, poi c’è la quota a carico dell’Italia per l’European peace facility (Epf), il fondo “extra-bilancio” istituito dall’Ue per le spese in armamenti e ora usato per sostenere Kiev (3,6 miliardi, di cui il 12,8% tocca all’Italia, 450 milioni). Questi fondi servono a rimborsare i Paesi che inviano armi, ma questo avviene in base al costo delle scorte (iper ammortizzato) e non dei nuovi acquisti. “Abbiamo stimato una spesa di 950 milioni – spiega Francesco Vignarca della Rete disarmo – ed è destinata a salire visti i nuovi programmi per fornire munizioni all’esercito Ucraino”, l’ultimo dei quali, Asap (500 milioni per 1 milione di proiettili), è stato appena annunciato da Bruxelles.
I nuovi fondi andranno all’Aid, una strana creatura che da fornitore e gestore per l’esercito si è trasformato anche in esportatore d’armi considerate “obsolete”: 27 milioni solo tra il 2014-2019 secondo l’Osservatorio sulle armi Opal, tra cui 207 semoventi d’artiglieria Sidam, 206 carri armati M113 e 26 elicotteri. Nel 2021 una modifica infilata nel dl Sostegni (a firma Lega) ha allentato gli obblighi in capo dall’Agenzia per la gestione di armamenti ed esplosivi, consentendogli più facilmente l’export. “Il problema è che la cessione gratuita di armamenti non più in uso, tipo i vecchi carri armati, oggi deve essere autorizzata dal Parlamento – continua Vignarca – Se invece li hai come gestione residuato dell’Agenzia basta l’ok del ministero degli Esteri”. Armi che oggi possono andare in Ucraina. Nelle scorse settimane, per dire, la tedesca Rheinmetall ha chiesto alla Svizzera Ruag di cedergli 100 carri Leopard gestiti da Aid per destinarli a Kiev. Berna però vieta l’export di armi. Rheinmetall ha confermato a Rete disarmo e Fondazione finanza etica di aver usato Ruag come “intermediario” per ottenere i carri.
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