Il 25 maggio è prevista l’udienza preliminare in cui si potrebbe decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per i due funzionari del Programma alimentare mondiale (Pam), Rocco Leone e Mansour Rwagaza, accusati di omicidio colposo e omesse cautele nell’ambito del triplice omicidio in Congo dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere scelto Vittorio Iacovacci e dell’autista dell’Agenzia Onu, Mustapha Milambo. Lo Stato italiano, però, non ha ancora deciso se costituirsi parte civile.
Salvatore Attanasio, lei è il papà del console italiano. Cosa pensa di questo comportamento del governo? Cosa si aspetta dalle Istituzioni?
Ci aspettiamo, intanto, che il processo nei confronti dei due indagati abbia inizio e che tutte le istituzioni, lo Stato nella sua interezza, stiano al fianco delle nostre famiglie. Dopotutto, Luca e Vittorio erano due servitori dello Stato.
Perché dice “nella sua interezza”?
Non basta che, per ipotesi, un ministero si costituisca parte civile: anche la Presidenza del Consiglio deve farlo. Il governo deve essere compatto e deciso.
Come rivelato dal Fatto Quotidiano, è possibile che dietro questa titubanza ci sia il timore di uno scontro diplomatico con le agenzie dell’Onu che hanno evidenziato il “rischio di nuocere a una lunga e positiva tradizione di cooperazione e sostegno reciproco fra Fao, Pam e governo italiano”. Come commenta questa novità?
Sono più importanti le relazioni con le Nazioni Unite o l’onore di un Paese che deve pretendere verità e giustizia per i suoi caduti e per la loro memoria? Lo Stato deve far vedere da che parte sta.
Finora che segnali vi sono arrivati?
Abbiamo ripetutamente chiesto che il governo si costituisse parte civile: a parole tutti ci dicono di sì, ma il dato di fatto è che a oggi questo non è ancora avvenuto. Se non accadrà, dovranno spiegare il perché ai cittadini e dovranno fornire motivazioni molto valide: Luca e Vittorio rappresentavano lo Stato italiano. Preciso che non si tratterebbe di un’azione risarcitoria, ma di un atto che rende onore ai nostri caduti: lo Stato è parte lesa, sono stati uccisi un suo ambasciatore e un suo carabiniere scelto nell’esercizio delle loro funzioni. Se Palazzo Chigi non dovesse costituirsi parte civile, genererebbe diversi dubbi ed emergerebbe la debolezza dell’Italia nei confronti del Pam.
Ha avuto contatti diretti con esponenti del governo? Cosa le è stato detto?
Certo, abbiamo parlato con funzionari della Presidenza del Consiglio a cui abbiamo presentato le nostre richieste sia per la costituzione di parte civile sia per la non validità dell’immunità per i due funzionari del Pam: ci era stato assicurato un interessamento, ma ad oggi stiamo ancora aspettando risposte concrete.
E per quanto riguarda il Pam, avete avuto conferma della loro linea sulla richiesta di immunità diplomatica per i due funzionari?
I nostri avvocati non ci hanno riferito alcun aggiornamento e si attendono che il Pam prosegua sulla sua linea, poiché la richiesta dell’immunità non è mai stata revocata. Per quanto mi riguarda, lo ritengo un comportamento assolutamente arrogante: stiamo parlando di un triplice omicidio. L’immunità serve a proteggere un funzionario da vessazioni di varia natura nel Paese in cui opera, ma se questo funzionario commette reati non c’è immunità che tenga. Una richiesta del genere è immorale e offensiva, non solo per le famiglie ma anche per lo Stato italiano. Mi viene in mente un esempio da fare: proviamo a pensare al Qatargate. In quel caso tutti erano pronti a chiedere la revoca immediata dell’immunità per gli eurodeputati coinvolti nella vicenda, mentre nel processo ai funzionari del Pam per la morte di mio figlio nessuno alza un dito. Che poi, che senso ha questa strategia? Chi si macchia di reati non è degno di stare dentro le Nazioni Unite. Altrimenti è lecito porsi la domanda: cosa vuole coprire il Pam?