Una telefonata allunga la vita del governo. Quella tra Marina Berlusconi e Giorgia Meloni. Per salvare l’esecutivo appena nato e farlo navigare in acque più tranquille, al riparo dagli attacchi di Silvio Berlusconi. Che però in cambio ottiene il ritiro della costituzione di parte civile da parte dello Stato nel processo Ruby ter, dove l’ex premier è imputato di corruzione in atti giudiziari.
Un colloquio, quello di Marina e Giorgia, organizzato dal compagno della premier e giornalista Mediaset, Andrea Giambruno, in ottimi rapporti con la presidente Fininvest ma pure col capo di Mediaset, Pier Silvio. A rivelarlo è il libro I potenti al tempo di Giorgia, di Paolo Madron e Luigi Bisignani, in uscita oggi per Chiarelettere.
L’episodio – ultimo di uno scontro iniziato col boicottaggio forzista verso l’elezione alla presidenza del Senato di Ignazio La Russa – avviene nel febbraio scorso. Meloni è in partenza per Kiev, viaggio importantissimo per la collocazione atlantica della neo premier che ha gli occhi di Europa e Usa puntati addosso, e l’ex cavaliere se ne esce dicendo che “io a Kiev non sarei mai andato”. Da lì la netta risposta di Zelensky in conferenza stampa: “Berlusconi non ha mai avuto la casa bombardata”. Meloni torna dall’Ucraina livida e decide che, per interrompere lo stillicidio da Arcore, deve stabilire un contatto, non con Silvio, ma con la figlia.
Così, grazie a Giambruno, telefona a Marina. Nel colloquio, secondo Madron-Bisignani, “Meloni dice che il comportamento del padre è inqualificabile e che in quel modo sta sabotando il governo”. A quel punto Marina, che si professa filogovernativa (pro domo aziende), cala l’asso e spiega all’interlocutrice che “per fermare il padre e la sua finta moglie occorre un segno tangibile dell’esecutivo che possa sollevarlo alla sua unica ossessione: i processi”. Così, “a meno di un’ora dall’inizio dell’ultima udienza del Ruby ter, ordina all’Avvocatura dello Stato di ritirare la costituzione di parte civile: è il primo ramoscello d’ulivo”.
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Ma il compagno della premier, Andrea Giambruno, è protagonista anche in un’altra parte del libro. Quella che rivela come abbia collaborato per anni col quotidiano Il Tempo, sotto la direzione di Franco Bechis, con lo pseudonimo Arnaldo Magro. Nom de plume con cui teneva una rubrica, Segretissimo, in cui raccontava retroscena del Palazzo. Promuovendo Giorgia e difendendola più da B. e Salvini che da Pd e M5S, senza risparmiare critiche alla sua azienda: Mediaset, dove lavora dal 2010 (presentato da Lele Mora). Nel febbraio 2022, con in sella Mario Draghi, Magro-Giambruno firma un articolo dove, a proposito di green pass e vaccini, scrive che “dopo aver posto il veto all’unica forza di opposizione (FdI, ndr), sulle reti Mediaset l’indicazione sia stata molto chiara: si parli bene solo dell’operato dell’esecutivo”. Ma andando indietro nel tempo si trovano diverse chicche: dalla “colonna Mediaset alla corte di Cairo” agli “azzurri cui interessa solo sopravvivere” fino al “dopo Berlusconi si chiama solo Marina”. Molta attenzione è alla tv, specie la sua, dove per un periodo gli fu vietato di andare in video: “Con l’insediamento di Draghi i programmi tv hanno dovuto cambiare linea. E quelli Mediaset non sono certo esentati”, scriveva a febbraio 2021. Ma pure “spottoni” come: “Con Simona Branchetti la mattina di Mediaset ha l’oro in bocca”. Firmato, Arnaldo Magro.