Non è la prima volta che accade. E nemmeno sarà l’ultima. Nei giorni del ritorno a casa di Silvio Berlusconi dopo i 45 passati al San Raffaele, Marta Fascina ha tentato un nuovo colpo, di quelli che le garbano tanto. Una nuova mappatura dei coordinatori regionali a sua immagine e somiglianza. Soprattutto quattro erano nel suo mirino: Giuseppe Mangialavori in Calabria, Ugo Cappellacci in Sardegna, Nazario Pagano in Abruzzo e Paolo Zangrillo in Piemonte. Colpevoli di avere tutti incarichi plurimi: i primi tre sono presidenti di commissione in Parlamento mentre il quarto è ministro della Pubblica amministrazione. Ma portano pure le stimmate di essere vicini a Licia Ronzulli, l’ex plenipotenziaria e mentore di Fascina cacciata dalla corte di Arcore in seguito a un patto di ferro tra la famiglia, soprattutto Marina Berlusconi, e la “finta moglie” dell’ex Cavaliere.
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Con l’uomo di Arcore ancora sofferente, dunque, Fascina ha tentato un “putsch” per rafforzare vieppiù il suo potere mettendo nei posti indicati i suoi fedelissimi, azione sventata in extremis, come racconta Dagospia, da Antonio Tajani. Che, quando si è trovato davanti agli occhi la nuova “pianta organica” del partito, ha chiamato l’ex premier il quale, facendo il pesce in barile, s’è rimangiato tutto. Per ora è finita qui, ma in realtà non è finita affatto. Perché chi ben conosce il mondo berlusconiano intravede altri due obiettivi nel mirino di Lady Marta: chiedere a Tajani di fare un passo indietro da coordinatore nazionale, con la scusa che “da ministro degli Esteri gli è impossibile stare dietro alle beghe di partito”, per sostituirlo col suo ex compagno di scuola Tullio Ferrante; poi prendersi addirittura il simbolo di Forza Italia, che l’ex Cavaliere, con un gesto di grande generosità, le potrebbe cedere con atto notarile. Un notaio milanese sarebbe già stato consultato. Un colpo non da poco dato che i sondaggisti danno al simbolo tricolore un valore del 2-3% di voti. Un piano che in FI a qualcuno è ben noto e corre di bocca in bocca. “Non ci riuscirà mai!”, dicono alcuni. “Ce la farà di sicuro!”, rispondono altri.
Se dovesse riuscirle il colpaccio, a quel punto l’ex silente Marta si trasformerebbe in una sorte di Evita Peron del berlusconismo, la quasi moglie del grande leader alla guida dei suoi descamisados, pronti a tutto per lei. “Don’t cry for me presidenteee…”. Che Marta s’ispiri davvero all’ex first lady argentina, moglie del presidente Juan Domingo Peròn, entrata nel cuore degli argentini assai più del marito? Il biondo platino c’è, il resto chissà.
Anche Paolo Madron e Luigi Bisignani, nel loro libro I potenti al tempo di Giorgia, dedicano ampio spazio a questo enigmatico personaggio che, partendo da Portici (pur essendo calabrese), ha scalato i vertici di Forza Italia e conquistato il cuore del gran sovrano passando per Emilio Fede (che la scoprì), il Milan di Adriano Galliani (che la assunse) e la stessa Ronzulli (che la trasformò in sua pupilla salvo poi venire metaforicamente accoltellata). “Dopo anni di presenze sempre un passo indietro, Fascina tira fuori una grinta che nessuno si aspettava. E da geisha silenziosa e rispettosa si trasforma in tigre”, si legge nel libro. Fin quasi a entrare nella linea dinastica, con quella promessa di matrimonio strappata al leader mentre è in ospedale nei giorni (gennaio 2022) che precedono l’apertura dei giochi per il Quirinale, stoppata anche qui in extremis, stavolta dai figli poco propensi a spartire. Poi il finto matrimonio, con tanto di fedi Damiani, “e i sussurri che raccontano di un lascito di oltre 50 milioni di dollari, più del doppio della cifra con cui fu liquidata Francesca Pascale”, sempre a quanto scrivono Bisignani e Madron.
Fino agli ultimi giorni, con Marta-Evita che non si muove nemmeno un minuto dal San Raffaele. E, rientrata ad Arcore, tenta il colpaccio sui coordinatori. Per puntare poi ancora più su: nuovo coordinatore e simbolo del partito.
E dire che in questa tornata amministrativa, se ha conquistato Ancona e Brindisi, FI è andata male proprio nella Lombardia governata da Alessandro Sorte, fedelissimo di Marta, con quattro ballottaggi persi su quattro. “Abbiamo fatto un’approfondita analisi del voto e l’indicazione è quella di un rafforzamento del radicamento territoriale”, ha spiegato Tajani. Come a dire: i nuovi coordinatori regionali devono passare dalla mia scrivania. “Voglio essere sempre informato su tutto quel che avviene in Parlamento e ad Arcore”, si è poi sfogato il ministro degli Esteri coi suoi collaboratori. Marta-Evita va fermata, altrimenti si prende il partito.