Uno sbancamento largo 40 metri, profondo 5, dotato di piste accessorie ai lati, larghissime, per far passare mezzi speciali. Il tutto per 430 km (da Sulmona, dove è prevista anche una centrale di compressione, fino a Minerbio alle porte di Bologna), con percorso sui crinali dell’Appennino, tra vaste aree forestali, fiumi e torrenti: una strage di alberi da eradicare, milioni di fusti da abbattere. Il tutto attraversando le aree più sismiche d’Italia, con faglie attive e capaci, devastando territori di elevata qualità ambientale, ricchi di biodiversità e dove, come in Abruzzo, è presente l’orso bruno marsicano, specie ad altissimo rischio di estinzione.
Stiamo parlando del super gasdotto Linea Adriatica della Snam, che corre anche lungo le aree montane e collinari della Romagna e delle alte Marche, dove la recente alluvione ha provocato la riattivazione di frane quiescenti, alcune delle quali di dimensioni colossali per massa ed estensione. Il fiume Savio (proprio lui!) da attraversare (e sventrare) oltre venti volte, le aree calanchive di Sant’Agata Feltria (forse l’area con più cedimenti tra quelle colpite dall’alluvione) da incidere proprio sulle frane in atto. Una “grande opera” dal costo abnorme di 2 miliardi e 400 milioni di euro, avversata da oltre 18 anni da comitati, associazioni, Comuni, Province, cittadini lungo tutto il suo percorso. Un’opera fossile che aggraverà ancor più il cambiamento climatico, causa di eventi estremi sempre meno “eccezionali”. Una monumentale opera “inutile”, visto che la nostra rete è già sovradimensionata rispetto alle nostre esigenze nazionali. Nel 2005 si è raggiunto il picco massimo del consumo di metano, con 86,3 miliardi di metri cubi; da allora il consumo è sempre calato (68,5 miliardi di mc nel 2022) ed è destinato a scendere ancora sensibilmente ed inesorabilmente, come è ovvio, smentendo in modo sistematico tutte le previsioni e proiezioni della Snam. La nostra attuale capacità di trasporto è di oltre 100 miliardi di metri cubi.
L’idea di fare dell’Italia una “hub del gas” è vecchia di oltre vent’anni, ed ogni tanto viene rispolverata e presentata come “nuova”. La guerra in Ucraina, il sabotaggio del gasdotto North stream e l’interruzione dei flussi dalla Russia hanno dato nuovo fiato al progetto, ma si tratta di un’illusione perché il consumo di gas continuerà a calare, nonostante le politiche nazionali (uguali, sotto ogni bandiera) siano improntate al fossile; dalle dichiarazioni degli attuali governanti traspare una distanza siderale dalle tematiche ambientali.
Il progetto “hub del gas” si basa in sostanza sulla speranza, senza fondamento, di poter vendere gas ad altri Paesi Europei dove, come in Italia, i consumi continueranno a scendere: si stima una riduzione dell’impiego di metano del 40 per cento entro il 2030. In sintesi, si prospetta una catastrofe ambientale che a questo punto avrebbe ricadute veramente insondabili. Inoltre, dopo quanto è accaduto e sta accadendo, le rassicuranti dichiarazioni dei vertici Snam e dei suoi tecnici dovranno fare i conti con una realtà fatta di molte centinaia di frane in movimento e con un territorio che non è più lo stesso di pochi giorni fa. Tutto quel che potranno fare sarà peggiorare una situazione già precaria.
La Snam sostiene che i metanodotti non scoppiano in occasione di un sisma e che sono dotati di sistema di sicurezza all’avanguardia. Tuttavia, esistono situazioni che non permettono a nessuna opera costruita dall’uomo di resistere, come ad esempio l’apertura di faglie con la sconnessione del piano di campagna. E proprio per quanto riguarda i gasdotti, bisogna ricordare che in un’area della Romagna (Valmarecchia, alto riminese) si sono verificate due grandi esplosioni di gasdotti (per fortuna di modeste dimensioni) nell’arco di vent’anni, l’ultima avvenuta nel 2015 con le fiamme che hanno illuminato a giorno il cielo notturno fino all’Umbria (!); entrambe le esplosioni si sono prodotte per l’azione di modestissimi movimenti del terreno. Nello stesso anno sono state tre le esplosioni di gasdotti nel territorio nazionale.
Resta un “mistero italico” (uno della serie) come sia possibile pensare di abbattere ed eradicare un numero spropositato di alberi affermando al contempo che l’opera sia “sostenibile”; si progetta di eliminare proprio quegli alberi che dovrebbero essere i nostri migliori alleati contro il cambiamento climatico. Un albero assorbe carbonio dall’aria e lo trasforma in legno (un albero è fatto al 50% di carbonio); è un servizio di “pulizia” dell’aria (legno in cambio di veleno climalterante) che non si limita allo “stoccaggio” ma contempla lo smaltimento, convogliando anche grandi quantità di carbonio nel suolo, dove viene fissato per ere geologiche, per sempre. Gli alberi andrebbero quindi piantati a miliardi, non distrutti a milioni.
Ora, dopo l’alluvione, la situazione sul territorio è palese. Se questa ennesima, inutile, grande opera verrà realizzata, i problemi di carattere ambientale si manifesteranno ad ogni metro e saranno ben visibili a tutti, come saranno rapide le ricadute. Se qualche frana per caso fosse rimasta “quiescente” ci penserà la Snam a riattivarla. E i proponenti non potranno nascondersi dietro alla supposta (da loro) infallibilità dei loro ingegneri: passeranno alla storia per aver concepito e realizzato una infrastruttura che avrà prodotto un tale disastro da arrecare grave pregiudizio al paese. “L’alterazione paesaggistica prodotta dall’opera, nonostante le misure di graduale ripristino ambientale previste dal progetto, rimarrà visibile per un tempo considerevole e costituirà un segno pregiudizievole per la salvaguardia dei caratteri paesaggistici del territorio umbro”; così scriveva la Regione Umbria (servizi tecnici) nel 2004, quando il gasdotto comparve per la prima volta negli albi pretori dei vari comuni. Basta estendere il concetto all’intera parte peninsulare del paese. E ancora non c’erano state le frane e le alluvioni.