Chiedo scusa se parlo di cose minime, ma capirete che non ci sono solo i Grande Temi ad appassionare la gente, i Grandi Personaggi, le Grandi Idee. Andiamo, si vive anche di friabili gioie che durano lo spazio di un minuto. Per esempio: la quotidiana intervista sui giornali, o in tivù, o alla radio, a Carlo Calenda. Confesso di avere per il personaggio una speciale simpatia, allo stesso modo in cui mi sta simpatico Wile Coyote, per cui quando compare Carlo Calenda non mi chiedo – credo non lo faccia nessuno – “Ehi, sentiamo cosa ha da dirci!”, ma piuttosto “Ehi, vediamo questa volta come cade nel canyon!”.
Dunque confesso senza timore la mia debolezza, e sono felice che sia una debolezza, umana, troppo umana, incoraggiata dalla stampa nazionale, che un giorno sì e l’altro pure telefona a Calenda per avere il suo parere su tutto. Sembra di vederle, le riunioni di redazione. Qualcuno dice: “Ci sarebbe il cane che conta fino a sei!”; e un altro: “Bella, la storia del melone che sa di fragola!”. Poi prevale la tradizione, e si decide di intervistare Calenda. Ho cercato su Google “intervista a Carlo Calenda”, e mi sono usciti (giuro, provate!) 585.000 risultati, e su 585.000 volte che qualcuno ha chiesto un parere a Calenda mai, mai una volta, una sola, che io sia andato al bar e abbia sentito qualcuno dire: “Porca miseria, ma hai visto cosa ha detto Calenda? Pazzesco!”.
Insomma, credo che gran parte del fascino di questo speciale genere letterario che è l’intervista al capo di Azione dipenda esattamente dal gusto sublime dell’irrilevante. C’è da capirlo: uno sfoglia pagine e pagine di guerre, debiti, delitti, infamie, schifezze, plastica negli oceani, e poi, stanco e depresso, ha bisogno di un alleggerimento. Giusto.
In più, il genere, essendo vastissimo, ha dei gustosi sottogeneri. Il più gettonato, di questi tempi è “Calenda dà ragione al governo”, dove, fingendosi critico (lui lo avrebbe fatto meglio, ovvio), Calenda dice che Meloni ha fatto bene a… (riempire a piacere, l’ultimo caso è sulla limitazione dei poteri della Corte dei Conti). Altro sottogenere interessante dell’intervista a Calenda è quando gli chiedono cosa dovrebbero fare secondo lui Caio, o Tizio, o Sempronio. Cosa dovrebbe fare il Pd? Cosa dovrebbe fare il governo? Cosa dovrebbe fare il papa? Sono perle di saggezza che strappano inevitabilmente un sorriso, perché Calenda veleggia intorno al 3 per cento, a esser buoni, e ha praticamente un piede nel Gruppo misto, e in assenza di strategie sue gli si chiedono le strategie degli altri. Un po’ come se si facesse una lunga intervista all’allenatore della Vignolese, campionato di Eccellenza, girone A, per chiedergli, all’apice del pathos, cosa farebbe se allenasse il Real Madrid. Mi aspetto, da affezionato lettore, che si alzi l’asticella: dove ha sbagliato Einstein? Come riscriverebbe il finale di Morte a Venezia?
Un altro grande classico del genere è Calenda che manda cose. Non c’è argomento, problema, seccatura o emergenza su cui Calenda non abbia già elaborato, e poi spedito, un suo piano, o studio, o progetto. Al governo, all’opposizione, ai Tupamaros, agli astronauti della stazione spaziale, in un angolo dell’intervista c’è sempre, immancabile, un “Io ho mandato il nostro piano…”. E qui c’è anche del mistery, un intreccio giallo: dove finiscono ’sti piani che Calenda manda a tutti? Cosa ne fanno? Non abbiate fretta di svelare l’arcano, godetevi la suspense. Tanto domani qualcuno intervisterà Calenda, e anche venerdì, e anche sabato. Che gioia.