Si è da poco conclusa la seconda sessione di incontri del Comitato Intergovernativo di Negoziazione (INC-2), istituito per sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica entro il 2024, a seguito della quinta edizione dell’Assemblea per l’ambiente delle Nazioni Unite tenutasi lo scorso anno a Nairobi. Più di 1.700 partecipanti – oltre 700 delegati degli Stati membri provenienti da 169 Stati membri e oltre 900 osservatori di diverse ONG attive nel campo – hanno partecipato a questo secondo cruciale summit, ospitato nella sede UNESCO a Parigi.
Gli incontri sono stati preceduti da un nuovo rapporto, pubblicato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) il 1°giugno dal titolo “Turning off the Tap: How the world can end plastic pollution and create a circular economy”, secondo il quale, se Stati e aziende applicassero al mercato le tecnologie esistenti, si potrebbe ridurre l’inquinamento da plastica dell’80% entro il 2040. Come si evince dal titolo, l’obiettivo è ambizioso, ma può essere raggiunto concretamente: possiamo (e dobbiamo) invertire la rotta “se adottiamo un approccio circolare che consideri la plastica nel sistema economico ma la tenga fuori dagli ecosistemi e dai nostri corpi” ha affermato Inger Andersen, Direttore Esecutivo UNEP.
Il documento, che vuole essere una vera e propria roadmap da seguire per ridurre dell’80% l’inquinamento da plastica entro il 2040, propone un cambiamento di sistema che combina la riduzione dell’utilizzo di plastica dannosa e non necessaria all’introduzione di un mercato circolare basato su tre linee chiave di intervento. In primis, il riutilizzo: promuovendo l’uso di bottiglie ricaricabili, distributori di prodotti sfusi, sistemi di deposito-restituzione e sistemi di ritiro degli imballaggi, soprattutto con l’aiuto dei governi che dovrebbero contribuire a creare un business case più forte per i prodotti riutilizzabili rispetto al mercato del monouso in plastica.
La seconda linea guida è quella del riciclo: se questa pratica diventasse più stabile e redditizia anche a livello di mercato si potrebbe ridurre l’inquinamento da plastica di un ulteriore 20%. Al di là dello stop ai sussidi ai combustibili fossili e all’applicazione di linee guida di progettazione per migliorare la riciclabilità dei materiali, si rende sempre più necessaria l’adozione di un quadro fiscale globale che possa far parte di un patto politico per consentire ai materiali riciclati di competere in condizioni di parità con i materiali vergini.
Infine, il report suggerisce di riorientare e diversificare, applicando un’attenta sostituzione dei prodotti come involucri di plastica, buste e contenitori per l’asporto con quelli realizzati in materiali alternativi, che spesso hanno difficoltà a competere sul mercato rispetto ai prodotti in plastica, a causa di costi elevati, domanda dei consumatori e mancanza di regolamenti adeguati.
Un cambiamento di rotta perfettamente in linea con le attività e la mission di Marevivo, che da anni porta all’attenzione il tema dell’inquinamento da plastica nei nostri mari, e che conduce quotidianamente azioni concrete su più campi per affrontarlo. Tra le più recenti, il lancio della campagna ancora attiva #BastaVaschette, in collaborazione con Zero Waste Italy, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’abuso di contenitori in plastica monouso per frutta e verdura e chiedere una legge – già in vigore in molti paesi europei – che ne vieti utilizzo anche in Italia.
Ogni anno solo in Italia vengono prodotti 1,2 miliardi di vaschette in plastica monouso per imballare frutta e verdura e questo numero è in costante crescita. Si tratta di confezioni spesso non necessarie e non riciclabili che creano un chiaro danno all’ambiente. Alcuni Paesi europei, come Francia e Spagna, hanno già introdotto leggi che ne limitano l’immissione sul mercato. Ma è sufficiente guardarsi intorno per rendersi conto dell’assurdità del sistema di imballaggio imperante.
Su questo tema, l’Associazione si è espressa anche durante una recente audizione alla Camera dei Deputati. Di fronte alle Commissioni riunite VIII Ambiente e X Attività produttive, ha esposto la propria posizione nell’ambito dell’esame della proposta di regolamento UE su imballaggi e rifiuti di imballaggio, confermando di esserne convintamente a favore. Infatti, la strategia prevista di promuovere il riciclo, rendendo tutti gli imballaggi presenti sul mercato dell’UE riciclabili entro il 2030, incentivare la riduzione dei rifiuti da imballaggio, attraverso l’implementazione di sistemi di riutilizzo e di ricarica, e aumentare l’uso della plastica riciclata, promuovendo lo sviluppo di un’economia circolare, non solo è un principio di buon senso volto a ridurre l’eccesso di rifiuti e dare più valore ai materiali, ma è anche l’unico approccio vincente per imboccare la strada di una vera transizione ecologica.
A livello globale, produciamo attualmente 430 milioni di tonnellate di plastica all’anno, due terzi dei quali sono prodotti di breve durata che presto diventano rifiuti. Secondo le stime, se non interrompiamo le tendenze attuali, la produzione di plastica è destinata a triplicare entro il 2060 (report OECD, Giugno 2022).
In Europa il 40% della plastica impiegata sul totale di quella prodotta è destinata agli imballaggi, con un incremento pari a + 20% registrato negli ultimi 10 anni. Nel prossimo decennio questo dato è destinato ad aumentare, a una velocità anche maggiore. Contrariamente a quanto contestato in Italia dai produttori di plastica, dai consorzi di riciclo e dai grandi distributori, le misure proposte dal regolamento incentivano il riciclo (una catena considerata un’eccellenza organizzativa italiana). L’Italia dichiara di riciclare oltre il 70% dei rifiuti prodotti, eppure l’ambiente e il mare sono pieni di rifiuti. C’è qualcosa che non torna. È necessario applicare metodi incentivanti, come il deposito cauzionale (DRS). Nei paesi in cui è applicato si arriva a un recupero degli imballaggi pari al 90%.
È indispensabile una riduzione della plastica utilizzata. Su questo punto, il regolamento europeo non fa altro che seguire i principi già introdotti con la direttiva SUP (recepita dall’Italia ma ancora non effettiva per mancanza dei decreti attuativi), con obiettivi peraltro non sufficientemente ambiziosi. Arrivare entro il 2040 a una riduzione del 15% del consumo pro-capite di imballaggi non è sufficiente perché la crescita media di imballaggi stimata per lo stesso periodo è del 20%: il che significa che se queste stime sono realistiche ci sarà comunque una crescita complessiva del 5%.
I dati sono allarmanti: sulle nostre spiagge si trovano una media di quasi mille rifiuti ogni 100 metri di spiaggia (fonte Legambiente) e, nel nostro mare, si registra un’altissima concentrazione di plastiche e microplastiche. Questo perché il Mar Mediterraneo è un bacino chiuso, con poco ricambio di acqua, su cui insistono più di 500 milioni di persone in 22 Paesi. Tutta questa plastica minaccia seriamente il mare e i suoi abitanti, senza considerare che le particelle di plastica ingerite dagli animali marini finiscono nella nostra catena alimentare. Sono state trovate microplastiche nell’uomo – nel nostro sangue, nella placenta e persino nel latte materno – e nano plastiche negli occhi dei pesci che diventano ciechi: ma a non vedere siamo soprattutto noi.
Ci auguriamo davvero che le misure che stanno nascendo su scala globale vengano comprese, rispettate e recepite con urgenza, non soltanto perché ce lo chiede il mondo scientifico – che ha evidenziato in più occasioni l’assoluta necessità di un rinnovamento dei sistemi di produzione e consumo, attualmente insostenibili – ma perché ne va della nostra salute, del nostro futuro e di quello delle giovani generazioni.