“Non possiamo dire a una persona come deve essere, nessuno può farlo”. Seduti in cerchio, all’aperto sotto un portico, con l’aria pesante della bufera di pioggia che sta arrivando in un estivo pomeriggio romano, sei ragazzi scrutano una cronista. Anzi, diciamo subito che per trasferire su carta ciò che abbiamo visto, e soprattutto chi abbiamo conosciuto, useremo volutamente l’asterisco al posto del maschile sovrasteso. Perché è di questo che si tratta, in fondo: rispettare chi e come una persona vuole essere. Non ce ne vogliano i puritani della lingua italiana.
E allora, sedut* in cerchio, sei ragazz* scrutano una cronista. Hanno i volti tesi, gli occhi indagatori, sono chius* e spaventat*, ma al tempo stesso hanno bisogno di ricominciare a fidarsi. Vengono dall’Italia, dalla Russia, dall’Ucraina, dal Sudamerica. Sono rifugiat*, sono vittime, ma soprattutto sono sopravvissut*: alle violenze fisiche, a quelle psicologiche, alle famiglie “non normali”, alle persecuzioni politiche, alla paura di tornare a casa da scuola. Sono viv*, ma una parte di loro sembra essere morta con la vita che facevano prima di approdare qui. Qui, dove invece il futuro – nonostante la pioggia – ha i colori dell’arcobaleno.
Siamo con gli/le ospit* di Casa+, la struttura di protezione e accoglienza temporanea della Croce Rossa italiana per persone Lgbtq+ che abbiano tra i 18 e i 30 anni. Un immobile su due piani, stanze doppie e servizi in comune, e un regolamento interno (giustamente) rigido: chi entra deve rispettare gli esseri umani e le norme della convivenza civile, deve dimostrare autosufficienza e voglia di stare in gruppo. Dal maggio del 2021, quando la Casa è stata aperta (prima Cri gestiva una struttura diversa, insieme con il Gay Center di Roma), sono state accolte 25 persone. Per entrare, bisogna fare richiesta: al numero verde 1520 risponde un team di psicologi, dal lunedì al sabato per 12 ore al giorno. Alla loro segnalazione, segue poi un colloquio a distanza. Al momento ci sono una quindicina di persone in lista d’attesa, e non soltanto per la limitata disponibilità dei posti letto (8): gli operatori devono valutare l’eventuale compatibilità tra chi entra, in modo che poi la convivenza non procuri ulteriori traumi o problemi. Ogni ospite porta con sé un bagaglio pensantissimo di sofferenza: “Non è semplice non farsi travolgere dall’emozione – ci racconta Maria Grazia Guglielmi, l’assistente sociale responsabile della struttura, che ci accompagna a visitarla insieme con la collega educatrice Nadia Pandozy e al loro responsabile, Antonio Crialesi – ma poter essere un supporto per le persone fa bene anche a noi, ci gratifica. Il momento peggiore, probabilmente, è quello delle dimissioni”, quando l’ospite dovrà ricomiciare a cavarsela da sol*. Già, ma come? Il progetto di Crose Rossa comprende la formazione e l’avviamento al lavoro: chi esce da qui deve essere in grado di lavorare e pagarsi un affitto, pur nell’ostracismo che può incontrare per la sua identità o il suo orientamento di genere.
“Sto andando alla scuola serale, devo prendere la licenza di terza media: vorrei diventare un operatore socio-sanitario”. “Faccio la receptionist”. “Nel mio Paese ero un parrucchiere, non lo voglio più fare perché le donne italiane non sono mai contente”. “Vorrei investire e vivere di rendita”. I sogni sono (quasi) tutti a portata di mano, e i/le ragazz* lentamente cominciano a sciogliersi. Ma non smettono mai di guardare negli occhi.
Un* di loro è stranier* e sord*, ma ha l’incredibile capacità di comprendere e farsi comprendere: è arrivat* in Italia a settembre scorso dopo aver rischiato la vita nel suo Paese omofobo. L’hanno picchiat* per strada, e non sa neanche come ha trovato la forza di scappare. Una volta nel Lazio, ha chiesto aiuto al Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, che con la Cri collabora. Sta studiando la Lingua dei segni italiana, e quasi quasi ci regala un sorriso.
C’è una coppia, due persone arrivate nel nostro Paese un anno fa dopo un lungo peregrinare per il mondo in cerca di pace, soldi e lavoro. Sono rifugiat*politic*. Un* di loro faceva il nostro stesso mestiere, prima che la repressione di regime colpisse gli attivisti che informavano sui documenti necessari al cambio di sesso e sulle terapie ormonali. L’altr* non dice una parola. Sostengono di non avere sogni; la sofferenza sì, ma quella non ha bisogno di parole.
Una persona ci scruta più delle altre, passa molto tempo in silenzio, non si fida. “Ho un progetto particolare, ma non posso rivelartelo”. Ha poco più di 20 anni, parla l’italiano di chi ha studiato, ma gli esami che l’hanno mess* alla prova sono altri. “Ci sono posti peggiori dell’Italia in cui vivere, ma certo non esiste IL posto migliore. Qui sto notando che, finalmente, la gente interviene per strada se assiste a un episodio omofobo. Anche solo per quieto vivere”. Ci scappa una considerazione politica: la destra al governo non approverà mai una legge contro l’omofobia, è contraria alle adozioni omosessuali, alla Gestazione per altri, alle famiglie arcobaleno. “Tanto sono tutti vecchi, prima o poi moriranno – sorride –. La società è molto più avanti di loro”. Anche se poi la sua relazione è osteggiata dalla famiglia del/della su* compagn*: “Però ‘fai schifo’ non me lo dicono”, si consola.
“I pride per noi sono importanti – ci spiega un altr* ospite – perché fanno capire alle persone chi siamo”. “In quei momenti almeno ci sentiamo al sicuro” è una frase sufficiente a rendere l’idea della quotidianità. Anche perché basta postare una foto sui social per ritrovarsi di nuovo sommersi dalle minacce: “Mi hanno trovat*. Stanotte ho dormito tre ore, scusami ma sono stressat*”.
Ecco, il gay pride romano. Quello a cui il governatore Francesco Rocca, che da presidente di Croce Rossa aveva fortemente voluto questa struttura, ha tolto il patrocinio all’ultimo con la scusa del manifesto pro maternità surrogata. Debora Diodati, vicepresidente di Croce Rossa, che in questo progetto crede fermamente, accetta di rispondere alla domanda scomoda: “Il volontariato è diverso dalla politica. Noi guardiamo ai bisogni concreti delle persone, che spesso la politica dimentica”. E in fretta, verrebbe da dire, visto che Rocca è diventato presidente della Regione Lazio nel marzo scorso. Il 25 giugno Cri inaugurerà uno sportello di ascolto per giovani Lgbtq+: un progetto finanziato grazie a un bando della Regione Lazio, gestione Zingaretti però.
“Sai cosa vorrei fare un giorno? Aprire un bar gay in un posto in cui non c’è”. Sogni a portata di mano, dicevamo. Tutti, tranne uno, ma è quello che resta impresso quando lasciamo Casa+. Cosa servirebbe alle persone per comprendere ed essere più inclusive e tolleranti? “La felicità”.
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