Ce l’hanno fatta. Ancora qualche passettino e la vittoria sarà completa. La mafia, proprio come cantava un profetico Francesco De Gregori tanti anni fa, se non interviene qualcuno, sarà presto legalizzata. Lo dimostra quello che accade a Palermo, dove il 28 giugno, il Consiglio per la giustizia amministrativa (l’equivalente siciliano del Consiglio di Stato) ha sospeso in via cautelare un’interdittiva antimafia nei confronti di un grossista di macchine agricole di Partinico, che nel 2020 aveva patteggiato una condanna a un anno e 10 mesi per 416 bis. In base al Codice antimafia, all’imprenditore organico ai clan era stato automaticamente vietato di continuare a esercitare la sua professione, di ricevere finanziamenti pubblici e sopratutto di partecipare a gare d’appalto. Poi però è arrivata la riforma della giustizia targata Marta Cartabia e tutto è cambiato. Il nuovo articolo 445 del Codice di procedura penale stabilisce che il patteggiamento non può più avere effetti extrapenali. Cosa vuol dire? Che se il verdetto arriva al termine di un processo per mafia, l’interdittiva scatterà in automatico. Ma se invece patteggi una pena non ti succederà niente perché “le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano il patteggiamento a una sentenza di condanna” “non producono effetti”.
E visto che le norme del Codice antimafia non sono leggi penali, perché “disciplinano istituti esclusivamente di natura preventiva e non punitiva” l’imprenditore mafioso di Partinico potrà continuare a fare affari. Ma pure se sei semplicemente un politico corrotto e non un mafioso hai di che gioire. Prima della riforma, se avevi patteggiato una pena superiore ai due anni per mazzette o altri gravi reati non potevi tornare a candidarti in base alla legge Severino. Oggi sì. Perché anche la Severino non è una legge penale. Non è cioè una norma che dà al condannato una punizione, ma è un provvedimento che serve per preservare l’onorabilità delle istituzioni tenendo fuori i criminali. Seguendo la logica (perversa) della riforma Cartabia è stato così rivisto pure il Codice degli appalti. Prima l’imputato che aveva patteggiato non poteva più partecipare a gare od ottenere lavori pubblici. Oggi lo può fare. Comprendiamo lo smarrimento di chi è arrivato a leggerci fino a questo punto: ma se avete pensato che l’ex ministra della Giustizia del Governo dei Migliori abbia operato in segreto in favore dei malviventi, vogliamo tranquillizzarvi. Marta Cartabia era ed è una persona onestissima. Solo che, non avendo mai messo piede in un tribunale, di diritto e procedura penale non ha mai capito nulla. E a dimostrarlo sono i fatti, non le opinioni. Nel luglio del 2021 quando le era stato fatto notare quanto fosse pericoloso stabilire che i dibattimenti per mafia e terrorismo andassero in fumo (la cosiddetta improcedibilità) se in appello duravano più di tre anni, lei serafica aveva risposto: “Nessun rischio, i procedimenti per reati puniti con l’ergastolo non sono soggetti a improcedibilità”. Ma l’ergastolo è previsto per l’omicidio e non tutti i mafiosi e i terroristi sono assassini. Così persino la Ue ha ufficialmente invitato a vigilare sull’applicazione dell’improcedibilità, mentre il governo Meloni ha dovuto parzialmente modificare le norme in base alle quali per una serie reati si sarebbe proceduto solo su querela. Ora c’è la questione dei mafiosi e dei corrotti che continueranno a fare affari con lo Stato. È il caso che la neonata Commissione antimafia se ne occupi. Perché Cartabia non sapeva quello che faceva. I neo commissari invece sì.