Nel testamento di Berlusconi il dono a Dell’Utri: trenta milioni di euro in eredità per l’uomo che sapeva tutto

6 Luglio 2023

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All’uomo che sapeva tutto Silvio Berlusconi ha lasciato trenta milioni di euro. C’è anche il nome di Marcello Dell’Utri tra gli eredi indicati dal fondatore di Mediaset e di Forza Italia. Dopo aver appreso la notizia, il diretto interessato ha detto alle agenzie di non aver fatto altro che piangere: “Non tanto per la cosa materiale ma per il gesto”. E in effetti Dell’Utri ha ragione: a colpire non è tanto l’entità del lascito (una piccola percentuale rispetto al patrimonio del de cuius, che farebbe comunque ricco qualunque comune mortale), ma soprattutto il significato di questa donazione. Se si esclude la “quasi moglie” Marta Fascina, che ha comunque ha accompagnato l’anziano Caimano negli ultimi anni di vita, l’ex senatore è l’unica persona citata nel testamento a non far parte della famiglia Berlusconi. L’uomo di Arcore ha voluto dunque dare un segnale: il rapporto che lo lega al suo storico braccio destro è attualissimo e indissolubile.

Il messaggio – In questo senso, chi avesse cominciato a leggere i giornali solo dopo la scomparsa del cavaliere potrebbe rimanere sorpreso del particolare riconoscimento. Il nome di Dell’Utri, infatti, è praticamente svanito dagli entusiastici racconti mediatici dell’epopea berlusconiana, forniti dalla stampa e dalle tv dopo la scomparsa dell’ex premier. A citare troppo Dell’Utri si corre il rischio di doverne ricordare anche la condanna definitiva per concorso esterno a Cosa nostra: un bel problema visto che i fatti contestati risalgono al periodo compreso tra il 1974 e il 1992, cioè quelli dell’ascesa imprenditoriale di Berlusconi. Una scalata che per la verità è stata accompagnata anche da altri fedelissimi, come Fedele Confalonieri o Cesare Previti. Eppure nel suo testamento Berlusconi ha deciso di omaggiarne soltanto uno: Marcello Dell’Utri. Come mai?

Silvio il generoso – Il Fatto avrebbe voluto porre questa domanda all’ex senatore, che però ha spiegato di non voler rilasciare alcuna dichiarazione al nostro giornale. Nel frattempo, però, spiegava al Corriere.it di essere rimasto sorpreso dalla donazione: Nulla mi doveva il mio amico Silvio. Io ho dato tutto a lui, la mia vita, tutto. Da lui ho avuto in cambio affetto“. E in effetti è vero che Dell’Utri ha trascorso quasi la sua intera vita professionale al servizio dell’uomo di Arcore: era suo segretario personale negli anni ruggenti delle prime speculazioni immobiliari con l’Edilnord, responsabile della ristrutturazione di villa San Martino ad Arcore. Poi, dopo un passaggio alle dipendenze di Filippo Alberto Rapisarda – un finanziere siciliano trapiantato a Milano che era amico di capimafia del calibro di Stefano Bontade – Dell’Utri sarà il capo di Publitalia, la concessionaria pubblicitaria di Mediaset. Quindi diventerà responsabile del “progetto Botticelli“, cioè il piano segreto per fondare Forza Italia e scendere in politica. Non è corretto, però, dire che in cambio Dell’Utri ha ricevuto da Berlusconi soltanto affetto: ha avuto anche altro. Il lascito da trenta milioni, infatti, è solo l’ultimo atto di una lunga scia di generosità.

Il faccia a faccia coi boss – Quella tra Berlusconi e Dell’Utri è la storia di un’amicizia in cui affetto e silenzio sono andati spesso di pari passo con un giro vorticoso di denaro. Una storia che comincia a Milano, dove alla fine degli anni ’50 arriva da Palermo un giovanissimo Dell’Utri. S’iscrive alla facoltà di Giurisprudenza della Statale e s’imbatte in Berlusconi praticamente subito: il futuro cavaliere, più vecchio di cinque anni e ormai prossimo alla laurea, gli cede i libri dell’università. Dell’Utri racconta di avere avuto una dritta per arrivare a Berlusconi: “Un amico di Palermo che aveva studiato a Milano mi ha dato il suo numero prima che partissi per l’università. Mi ha detto: è un pò gasato ma bravo“. Sarà un caso ma il legame tra i due sarà spesso segnato dalla presenza di amici palermitani. Come quelli che si presentano in Foro Bonaparte a Milano alla fine del maggio del 1974: negli uffici dell’Edilnord arriva il gotha di Cosa nostra. Ci sono Stefano Bontade, il principe di Villagrazia cioè il boss più importante dell’epoca, suo cognato Girolamo Teresi del clan di Santa Maria del Gesù, accompagnati da Gaetano Cinà, uomo della famiglia di Malaspina e vecchio amico di Dell’Utri. Nell’ufficio c’è anche Francesco Di Carlo, boss di Altofonte che anni dopo diventerà un collaboratore di giustizia. Sarà lui a raccontare quell’incontro: “Ci vedemmo con Marcello Dell’Utri in un ufficio in attesa di incontrare Berlusconi. Dopo pochi minuti arrivò questo costruttore, Silvio Berlusconi. Ci salutò tutti con una stretta di mano”. Nella sentenza della Cassazione su Dell’Utri il faccia a faccia coi mafiosi è considerato provato. Quella condanna riguarda solo l’ex senatore, ma nelle motivazioni Berlusconi viene citato 137 volte. Dell’Utri viene condannato per aver “favorito e determinato” la “conclusione di un accordo di reciproco interesse tra i boss mafiosi, nella loro posizione rappresentativa, e l’imprenditore amico Berlusconi“. Da quel momento a Cosa nostra cominciano ad arrivare centinaia di milioni di lire come prezzo di un “accordo di protezione stipulato nel 1974 tra gli esponenti mafiosi (Bontade e Teresi) e Berlusconi per il tramite di Dell’Utri“. Per i giudici l’ex senatore è il “mediatore“, cioè la persona in cui “riponevano fiducia” entrambe le parti: sia Cosa nostra che Berlusconi.

L’eroe Mangano – In cambio di quei pagamenti la mafia garantiva protezione all’inquilino di villa San Martino, dove venne spedito Vittorio Mangano, passato alla storia come lo “stalliere di Arcore“. Il boss di Porta Nuova viene assunto come fattore: si porta dietro tutta la famiglia, ogni mattina accompagna a scuola i piccoli Marina e Pier Silvio, che poi ogni pomeriggio giocano con sua figlia Cinzia, in futuro pure lei condannata per mafia. Che ci fa un tipo come Mangano ad Arcore? “Eravamo negli anni 70 e la faccia di Mangano poteva tenere lontani i malintenzionati in un periodo violentissimo della storia di questo paese. C’erano i rapimenti allora“, ammetterà Dell’Utri, dopo trent’anni d’indagini, in una surreale intervista a Il Foglio. Eppure sia lui che Berlusconi non avevano avuto problemi a definire Mangano un “eroe” per non aver rivelato nulla ai magistrati sul suo passato ad Arcore. Vicende raccontate dai pentiti, ricostruite dalle inchieste e dai processi. E in pochissimi casi anche da Dell’Utri, loquace come non mai in quel colloquio con Il Foglio: “Un giorno – narrava l’ex senatore – scoppiò un piccolo incendio in un campo di tiro al piattello che confina con il giardino della villa di Arcore. E siccome Berlusconi qualche settimana prima si era lamentato con Mangano dei rumori che la domenica da quel campo di tiro a piattello gli impedivano di riposare, ecco che dopo l’incendio Silvio lo chiama. E gli chiede: Vittorio, ma che è successo al tiro al piattello? E quello, in palermitano, che sembrava uscito da un film su Cosa nostra: Cortocircuito fu“. Una scena che sembra partorita dalla fantasia di Mario Puzo e Francis Ford Coppola che, però, Dell’Utri si era ben guardato dal raccontare durante il suo tortuoso iter giudiziario. Che si conclude nel 2014: l’ex senatore viene riconosciuto colpevole per fatti commessi fino al 1992. “I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica”, era stato il sarcastico commento dello storico braccio destro di Berlusconi. Analisi assolutamente condivisibile. Ma d’altra parte i giudici non hanno considerato credibili i racconti del pentito Gaspare Spatuzza. Il picciotto raccontò di essere stato convocato dal suo capo, Giuseppe Graviano, nel gennaio del 1994. Sono gli anni oscuri delle stragi: il boss di Brancaccio disse a Spatuzza che si erano messi il “Paese nelle mani“, fece i nomi di Berlusconi e Dell’Utri, poi gli ordinò di dare “un altro colpetto“, cioè di organizzare un altro attentato dopo le bombe di Firenze, Roma e Milano. Quell’incontro si tenne al bar Doney di via Veneto, nella Capitale, a trecento metri di distanza dall’hotel Majestic, dove negli stessi giorni Dell’Utri stava organizzando la presentazione ufficiale di Forza Italia. Dell’Utri e Graviano s’incontrarono? Non è mai stato provato e d’altra parte il boss di Brancaccio ha sostenuto di non conoscere l’ex senatore. Di sicuro c’è solo che il 26 gennaio Silvio Berlusconi pronuncia il famoso discorso della discesa in campo. Il giorno dopo i Graviano vengono arrestati a Milano. Il “colpetto” ordinato a Spatuzza non ci sarà mai: dopo un tentativo fallito, pare per un problema al telecomando che doveva far esplodere un’autobomba nei pressi dello stadio Olimpico, l’attentato viene rinviato e poi cancellato. Le stragi finiscono.

Milioni e silenzio – Tutta questa storia, però, nella sentenza di condanna di Dell’Utri non c’è. Dopo una breve latitanza in Libano, nel 2014 per l’ex senatore si aprono le porte del carcere di Rebibbia: ci resta circa quattro anni, poi va ai domiciliari prima di tornare in libertà nel dicembre del 2019. Da quel momento, secondo l’inchiesta della procura di Firenze che ha iscritto nel registro degli indagati sia Berlusconi che Dell’Utri per le stragi del 1993, l’ex senatore ha ricominciato a bussare alla porta dell’amico Silvio. Le richieste sono le stesse da anni: soldi, tanti soldi. Berlusconi, va detto, è sempre stato generoso. Nel 2021, per esempio, ha accordato a Dell’Utri un vitalizio da 30mila euro al mese, alla fine di una trattativa documentata dagli investigatori. Secondo le indagini della Dia, Dell’Utri ha ricordato ad Alfredo Messina, il tesoriere del partito, che “pagare i suoi difensori è pagare anche la difesa di Berlusconi e di Forza Italia, quasi a significare che, al contrario, potrebbero esserci pericoli per l’ex premier”. Era il periodo in cui l’ex senatore era ancora sotto processo per la cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra: era accusato di aver veicolato al primo governo Berlusconi la minaccia dei boss mafiosi. Durante il processo d’Appello i suoi avvocati avevano pure citato il cavaliere come testimone in aula. L’ex premier avrebbe dovuto negare di aver ricevuto messaggi minatori dall’amico Marcello. E invece Berlusconi preferì avvalersi della facoltà di non rispondere, visto che intanto era stato messo di nuovo sotto inchiesta a Firenze. Miranda Ratti, moglie di Dell’Utri, non la prese bene: “Qui c’è la vita di Marcello in gioco, è meglio che non parlo, che non dico quello che penso”. Alla fine Dell’Utri venne assolto. E dal maggio del 2021 l’amico Silvio ha acconsentito a erogargli il vitalizio da 30mla euro al mese. Soldi che si aggiungono a quelli arrivati negli anni precedenti. Come i 40 milioni che dal 2003 al 2012 partono dai conti del cavaliere e arrivano sui suoi. A tracciarli è la procura di Roma che indagava sulla P3. Sarà invece l’Ufficio informazioni finanziarie di Bankitalia a segnalare i tre milioni bonificati dal cavaliere alla moglie di Dell’Utri tra la fine del 2016 e il 2017, quando l’amico Marcello era ancora in carcere. Poi c’è villa Comalcione, la residenza da seimila metri quadrati sul lago di Como che Dell’Utri vendette a Berlusconi nel 2012. Il costo? Ventuno milioni di euro. All’epoca i pm sottennero che si trattava di un prezzo esagerato. Quattro dopo, però, la villa venne rivenduta a un americano per 28 milioni, 7 in più. Racconta Dell’Utri che “metà della differenza” Berlusconi la diede a lui.

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